di Pino Corrias (da il Fatto Quotidiano )
Implacabile algoritmo: così l’IA di Bibi uccide i reporter della Striscia
Sangue dal cielo. Hassan Samour, 44 anni, è stato ucciso a Khan Younis. Con lui è stata sterminata tutta la sua famiglia: undici persone, donne e bambini compresi

Dentro gli algoritmi e i boati dell’annientamento, tra donne e uomini in fiamme, l’altra notte a Khan Younis è morto il 216esimo giornalista palestinese ridotto a una macchia di inchiostro d’agenzia, Hassan Samour, 44 anni. Probabilmente selezionato dal sistema di Intelligenza artificiale denominato “Where’s daddy” in grado di tracciare il target, da colpire anche dentro casa. Con lui è morta tutta intera la sua famiglia contabilizzata nell’infosfera senza nomi, senza identità: sua moglie, i cinque figli, la madre, suo fratello, la moglie di suo fratello, i loro due figli. Undici corpi, fatti a pezzi in un solo istante. Recuperati uno alla volta. Infilati nella plastica bianca, come fossero macerie di un muro sbriciolato. Scarti anche loro della notte numero 588 dello sterminio, attraversata dai droni della sorveglianza e dai jet dell’aviazione israeliana che hanno scaricato i loro missili su uomini, donne, bambini in fuga da 18 mesi sotto i cieli d’acciaio di Gaza. Dove da 50 ore avanza la nuova operazione “Carri di Gedeone” che ha appena masticato altre 115 vittime.
L’offensiva non è solo di Caccia F-35, carri armati Merkava, elicotteri Apache e droni che imperversano indisturbati, ma anche di telecamere, codici cibernetici e procedure di massimo controllo narrativo sul massacro indiscriminato che prevede persino di filtrare le urla delle vittime nelle immagini rilasciate dalle piattaforme planetarie.
Guerra condotta attraverso la sorveglianza elettronica che analizza tutti gli spostamenti dei profughi, compila liste assemblate dalla Intelligenza artificiale che setaccia milioni di identità, estraendo singoli obiettivi da colpire, con tecniche predittive basate sui comportamenti dei singoli: storia individuale, parentele, spostamenti, schede Sim utilizzate, luoghi sospetti visitati. Con punteggio numerico dei sospetti, per poi emettere il verdetto di morte che resta in stand by in attesa della validazione della “risorsa umana” fino a un massimo di 20 secondi, entro i quali i militari israeliani, a chilometri di distanza, danno il via libera. Trasferendo l’input al pilota, il pilota al missile. Il missile al lampo. Calcolando da 15 a 100 i morti civili collaterali consentiti dal sistema, a seconda del rango del bersaglio.
Velocità di selezione. Velocità di esecuzione. Che di notte in notte, di bombardamento in bombardamento, hanno scalato il massacro fino agli attuali 53 mila morti, calcolati male. Più i feriti, i mutilati, i dispersi. Più i sepolti per sempre nei palazzi crollati da Nord a Sud della Striscia. Più quelli che moriranno oggi, domani. Per colpa della fame, delle malattie, delle infezioni, dell’acqua trasformata in fango, della diarrea che non si può fermare fino alla completa disidratazione.
Tutto secondo uno schema di sistematica distruzione indicata alla voce “Autodifesa”, che include ospedali, scuole, moschee, cimiteri, impianti di desalinizzazione dell’acqua, biblioteche, frutteti. Naturalmente tutte le case possibili, come ha chiarito il primo ministro Netanyahu in una riunione a porte chiuse, rivelata una settimana fa dal Times of Israel: “Stiamo distruggendo sempre più case a Gaza in modo che i palestinesi non abbiano più un posto dove tornare”. Realizzando, davanti agli occhi del mondo, nella ipnosi del mondo, il clamoroso paradosso di un Stato nato dai campi di sterminio del Ventesimo secolo, che con massimo furore e terribile vendetta, ha impugnato la spada, il lampo, il tuono per fabbricarne uno di grandezza mai vista, 365 chilometri quadrati, davanti alla propria porta di casa, uccidendo, bruciando, martellando da terra, dal mare, dal cielo. Spostando la popolazione da Nord a Sud, da Sud a Nord, smantellando una tendopoli dopo l’altra con “gli ordini di evacuazione” che piombano all’inseguimento dei profughi come un immenso Squid Game, il gioco della sopravvivenza, giocato davanti alla intera nazione e all’Occidente. Che non solo accetta il fiume di sangue, ma nel raccontarlo piega il proprio linguaggio secondo le direttive della comunicazione israeliana che non distrugge palazzi abitati, “rimuove infrastrutture di Hamas”, non uccide bambini, “neutralizza minacce”, non bombarda sale operatorie e corsie di ospedale, “colpisce covi di terroristi”, non rade al suolo scuole e mercati, “distrugge bersagli di precisione”, non aggredisce con incursioni aeree Stati stranieri, come Libano, Siria, Iran, Yemen, ma “esercita il suo diritti all’autodifesa”.
Gaza non è un campo di battaglia, ma un sito di cancellazione. Compresa quella sistematica delle immagini avendo dal primo giorno dell’offensiva proibito l’accesso a qualunque media occidentale. Scatenando una deliberata caccia ai giornalisti palestinesi residenti, ai blogger, colpevoli di registrare immagini, testimonianze, resoconti in grado di smentire le versioni ufficiali dei massacri, come quello dei 15 soccorritori palestinesi che a bordo di un convoglio di ambulanze a Rafah non sono stati attaccati e uccisi dall’esercito per errore, ma intenzionalmente come hanno raccontato le immagini pubblicate un mese fa dal New York Times.
Contro i giornalisti palestinesi, i cameraman, i fotografi è una guerra dentro la guerra con una media di 13 operatori dell’informazione uccisi a settimana, più che nelle due guerre mondiali messe insieme. Strage che l’esercito di Israele sperimenta dai tempi dell’Intifada. E che contemporaneamente prevede di ospitare i giornalisti occidentali nelle proprie basi con vitto, alloggio, trasporto in sicurezza. Per offrire loro tour su automezzi blindati, autorizzare le riprese solo in punti precedentemente selezionati, censurare le immagini sgradite, fornire gratuitamente quelle militari, in versione videogioco, con il lampo del target distrutto, mai sangue, mai nessun corpo in vista. Sapendo che la propaganda è strategica quanto i carri armati schierati per la distruzione. È il salvacondotto che ripulisce il massacro, lo rende neutro quanto le procedure di Intelligenza artificiale che lo autorizzano oggi, preparando domani la definitiva espulsione dei palestinesi. Quando lungo la spiaggia ripulita dai cadaveri le future comitive del turismo occidentale, prenderanno il sole, prima del bagno.
Implacabile algoritmo: così l’IA di Bibi uccide i reporter della Striscia
Sangue dal cielo. Hassan Samour, 44 anni, è stato ucciso a Khan Younis. Con lui è stata sterminata tutta la sua famiglia: undici persone, donne e bambini compresi
Dentro gli algoritmi e i boati dell’annientamento, tra donne e uomini in fiamme, l’altra notte a Khan Younis è morto il 216esimo giornalista palestinese ridotto a una macchia di inchiostro d’agenzia, Hassan Samour, 44 anni. Probabilmente selezionato dal sistema di Intelligenza artificiale denominato “Where’s daddy” in grado di tracciare il target, da colpire anche dentro casa. Con lui è morta tutta intera la sua famiglia contabilizzata nell’infosfera senza nomi, senza identità: sua moglie, i cinque figli, la madre, suo fratello, la moglie di suo fratello, i loro due figli. Undici corpi, fatti a pezzi in un solo istante. Recuperati uno alla volta. Infilati nella plastica bianca, come fossero macerie di un muro sbriciolato. Scarti anche loro della notte numero 588 dello sterminio, attraversata dai droni della sorveglianza e dai jet dell’aviazione israeliana che hanno scaricato i loro missili su uomini, donne, bambini in fuga da 18 mesi sotto i cieli d’acciaio di Gaza. Dove da 50 ore avanza la nuova operazione “Carri di Gedeone” che ha appena masticato altre 115 vittime.
L’offensiva non è solo di Caccia F-35, carri armati Merkava, elicotteri Apache e droni che imperversano indisturbati, ma anche di telecamere, codici cibernetici e procedure di massimo controllo narrativo sul massacro indiscriminato che prevede persino di filtrare le urla delle vittime nelle immagini rilasciate dalle piattaforme planetarie.
Guerra condotta attraverso la sorveglianza elettronica che analizza tutti gli spostamenti dei profughi, compila liste assemblate dalla Intelligenza artificiale che setaccia milioni di identità, estraendo singoli obiettivi da colpire, con tecniche predittive basate sui comportamenti dei singoli: storia individuale, parentele, spostamenti, schede Sim utilizzate, luoghi sospetti visitati. Con punteggio numerico dei sospetti, per poi emettere il verdetto di morte che resta in stand by in attesa della validazione della “risorsa umana” fino a un massimo di 20 secondi, entro i quali i militari israeliani, a chilometri di distanza, danno il via libera. Trasferendo l’input al pilota, il pilota al missile. Il missile al lampo. Calcolando da 15 a 100 i morti civili collaterali consentiti dal sistema, a seconda del rango del bersaglio.
Velocità di selezione. Velocità di esecuzione. Che di notte in notte, di bombardamento in bombardamento, hanno scalato il massacro fino agli attuali 53 mila morti, calcolati male. Più i feriti, i mutilati, i dispersi. Più i sepolti per sempre nei palazzi crollati da Nord a Sud della Striscia. Più quelli che moriranno oggi, domani. Per colpa della fame, delle malattie, delle infezioni, dell’acqua trasformata in fango, della diarrea che non si può fermare fino alla completa disidratazione.
Tutto secondo uno schema di sistematica distruzione indicata alla voce “Autodifesa”, che include ospedali, scuole, moschee, cimiteri, impianti di desalinizzazione dell’acqua, biblioteche, frutteti. Naturalmente tutte le case possibili, come ha chiarito il primo ministro Netanyahu in una riunione a porte chiuse, rivelata una settimana fa dal Times of Israel: “Stiamo distruggendo sempre più case a Gaza in modo che i palestinesi non abbiano più un posto dove tornare”. Realizzando, davanti agli occhi del mondo, nella ipnosi del mondo, il clamoroso paradosso di un Stato nato dai campi di sterminio del Ventesimo secolo, che con massimo furore e terribile vendetta, ha impugnato la spada, il lampo, il tuono per fabbricarne uno di grandezza mai vista, 365 chilometri quadrati, davanti alla propria porta di casa, uccidendo, bruciando, martellando da terra, dal mare, dal cielo. Spostando la popolazione da Nord a Sud, da Sud a Nord, smantellando una tendopoli dopo l’altra con “gli ordini di evacuazione” che piombano all’inseguimento dei profughi come un immenso Squid Game, il gioco della sopravvivenza, giocato davanti alla intera nazione e all’Occidente. Che non solo accetta il fiume di sangue, ma nel raccontarlo piega il proprio linguaggio secondo le direttive della comunicazione israeliana che non distrugge palazzi abitati, “rimuove infrastrutture di Hamas”, non uccide bambini, “neutralizza minacce”, non bombarda sale operatorie e corsie di ospedale, “colpisce covi di terroristi”, non rade al suolo scuole e mercati, “distrugge bersagli di precisione”, non aggredisce con incursioni aeree Stati stranieri, come Libano, Siria, Iran, Yemen, ma “esercita il suo diritti all’autodifesa”.
Gaza non è un campo di battaglia, ma un sito di cancellazione. Compresa quella sistematica delle immagini avendo dal primo giorno dell’offensiva proibito l’accesso a qualunque media occidentale. Scatenando una deliberata caccia ai giornalisti palestinesi residenti, ai blogger, colpevoli di registrare immagini, testimonianze, resoconti in grado di smentire le versioni ufficiali dei massacri, come quello dei 15 soccorritori palestinesi che a bordo di un convoglio di ambulanze a Rafah non sono stati attaccati e uccisi dall’esercito per errore, ma intenzionalmente come hanno raccontato le immagini pubblicate un mese fa dal New York Times.
Contro i giornalisti palestinesi, i cameraman, i fotografi è una guerra dentro la guerra con una media di 13 operatori dell’informazione uccisi a settimana, più che nelle due guerre mondiali messe insieme. Strage che l’esercito di Israele sperimenta dai tempi dell’Intifada. E che contemporaneamente prevede di ospitare i giornalisti occidentali nelle proprie basi con vitto, alloggio, trasporto in sicurezza. Per offrire loro tour su automezzi blindati, autorizzare le riprese solo in punti precedentemente selezionati, censurare le immagini sgradite, fornire gratuitamente quelle militari, in versione videogioco, con il lampo del target distrutto, mai sangue, mai nessun corpo in vista. Sapendo che la propaganda è strategica quanto i carri armati schierati per la distruzione. È il salvacondotto che ripulisce il massacro, lo rende neutro quanto le procedure di Intelligenza artificiale che lo autorizzano oggi, preparando domani la definitiva espulsione dei palestinesi. Quando lungo la spiaggia ripulita dai cadaveri le future comitive del turismo occidentale, prenderanno il sole, prima del bagno.