Questa è la ricostruzione di quanto accaduto all’Associazione Verso il Kurdistan nell’ultimo viaggio presso la popolazione yazida. I fatti di per sè sono gravissimi e non possono essere sottaciuti.
Questo non ci esime dal continuare a sostenere l’Amministrazione Autonoma di Shengal e il popolo ezida, anzi i nostri sforzi di collaborazione e di solidarietà concreta dovranno essere raddoppiati. Lo chiediamo anche a tutti/e voi: non lasciamoli soli, non lasciateci soli!
IBAN per eventuali donazioni a sostegno del nostro progetto della costruzione di un ospedale a Duhla, intestato ad Associazione Verso il Kurdistan Odv: IT17 030 6909 6061 0000 0111 185 Causale: donazioni
Il 5 x 1000 all’Associazione Verso il Kurdistan di quest’anno verrà interamente devoluto alla costruzione dell’ospedale di Duhla. Ricorda il nostro Codice Fiscale: 96036900064
Alessandria, lì 10 giugno 2025
Associazione Verso il Kurdistan Odv

Ricostruzione di quanto accaduto alla delegazione dell’“Associazione Verso il
Kurdistan” in Iraq
Una delegazione dell’“Associazione Verso il Kurdistan Odv” avrebbe dovuto
rimanere in Iraq dal 17 al 30 maggio 2025: invece è stata costretta a un rientro
anticipato il 27 maggio dal governo iracheno.
Gli obiettivi del viaggio erano tre: incontrare gli abitanti del campo rifugiati di
Mackmour, per il quale l’Associazione ha finanziato negli anni scorsi la costruzione
di un presidio sanitario; incontrarsi con gli esponenti dell’Amministrazione autonoma
yazida e il personale dei presidi sanitari per fare il punto sulla costruzione
dell’ospedale di Duhla, finanziato finora con 70.000 dollari raccolti grazie alle
campagne di sensibilizzazione dell’Associazione; verificare lo stato dei lavori e le
priorità più urgenti.
Gli yazidi nel 2014 hanno subito un genocidio da parte dell’ISIS, che ha massacrato
migliaia di uomini, rapito e schiavizzato migliaia di donne e bambini.
Il 24 maggio la delegazione è arrivata a Kamashor, nel distretto di Shengal (Sinjar in
arabo), la “montagna sola”, e nel pomeriggio ha visitato il cimitero dei martiri
caduti/e nella guerra di resistenza contro l’ISIS, tra cui molti ragazzi e ragazze. C’è
stato poi il primo incontro con una esponente dell’Amministrazione autonoma.
Nessun problema ai check point.
Nella giornata di domenica 25, al mattino, la delegazione ha incontrato il personale
medico e infermieristico del piccolo ospedale di Kamashor, ormai in funzione e che
fornisce prestazioni ambulatoriali e di primo intervento alla popolazione.
Gratuitamente.
Nel pomeriggio di domenica, la delegazione doveva essere accompagnata al presidio
sanitario di Serdest, situato sui primi contrafforti della montagna di Shengal. Per il
viaggio eravamo stati divisi in due gruppi: quattro persone su un pick-up guidato da
un ragazzo e sette persone su un pulmino alla cui guida c’era un uomo, tutti e due
designati dall’Amministrazione autonoma. Al primo check point, il pick-up è passato
senza problemi; il pulmino invece è stato fermato e sono stati richiesti i passaporti dei
passeggeri.
Tutti corredati di un regolare visto rilasciato dall’Ambasciata irachena in Italia, con
successivo timbro sul documento apposto dalla polizia all’arrivo all’aeroporto di
Baghdad sabato 17 maggio 2025.
Quindi, sia prima della partenza dall’Italia sia all’arrivo in Iraq.
Invece i sette componenti della delegazione, con il capo-delegazione Antonio Olivieri
e l’autista, sono stati fermati e scortati da due mezzi militari fino a una grande
caserma dell’esercito situata a Shengal. Ritirati passaporti e telefonini che sono stati
riconsegnati al momento della partenza per l’Italia. Nella caserma di Shengal sono
stati interrogati per ore senza supporto di alcun avvocato e interprete. Poi, da lì sono
stati portati a Mosul, dove sono stati trattenuti da uomini dei servizi per tutta la notte
in una cella di sicurezza della polizia. Solo il giorno dopo sono stati portati a
Baghdad, non in ambasciata, però, ma presso la sede centrale dei servizi di
intelligence, dove sono stati interrogati alla presenza dell’ambasciatrice italiana e del
comandante dei carabinieri presso l’ambasciata italiana a Baghdad. Ennesima
perquisizione e ritiro dei notes con gli appunti. L’accusa formulata era di sostegno al
terrorismo!
Un’odissea di circa trenta ore, da Shengal a Baghdad, in corsa su un pulmino di
proprietà dell’autista, senza sosta per un pranzo. L’autista è stato rilasciato dopo
l’interrogatorio a Baghdad della delegazione.
Solo dopo questo ulteriore passaggio i sette componenti della delegazione hanno
potuto essere accolti presso l’ambasciata italiana.
Nel frattempo, gli altri componenti della delegazione: tre donne tra cui la
capodelegazione Lucia Giusti e un uomo, sono stati accompagnati da esponenti
dell’Amministrazione autonoma nella casa del popolo in cui erano ospiti. Da lì si
sono messi in contatto con la Farnesina e con l’Ambasciata italiana in Iraq, che si è
subito mossa per garantire l’accoglienza presso la propria sede in attesa di un volo di
ritorno imposto a quel punto dal governo iracheno prima della scadenza naturale del
viaggio.
Il secondo gruppo poi ha raccolto i bagagli, compresi quelli dei sette dell’altro
gruppo, ed è stato accompagnato durante la notte in una nuova casa. Da lì, il mattino
dopo la capo-delegazione si è messa in contatto diretto con l’ambasciatrice: il
governo iracheno avrebbe garantito l’accompagnamento diretto fino a Baghdad, a
evitare problemi ai check point. Anche in questo caso, però, dapprima il gruppo è
stato portato in una caserma militare, scortato dai soldati per un breve tragitto e poi
consegnato ad agenti dei servizi di intelligence, i quali all’inizio hanno garantito a
parole che la meta immediata sarebbe stata, come da accordi, l’ambasciata di
Baghdad.
Invece, superata Mosul in direzione della capitale irachena, il pick-up su cui
viaggiavano i passeggeri e l’altro con i bagagli hanno fatto un’improvvisa inversione
a U sull’autostrada per tornare evidentemente a Mosul, con gli agenti che
continuavano a sostenere invece che l’ambasciata era la meta diretta. Come a dire che
per andare a Roma da Firenze si va in direzione di Milano.
Infatti, i quattro esponenti della delegazione sono stati portati nella sede dei servizi di
intelligence di Mosul e interrogati in uno spazio sotterraneo davanti a una cella di
sicurezza, ad alludere che quella sarebbe stata il ricovero per la notte o per le notti
seguenti.
Già, perché la prima accusa formulata è stata quella di essere fiancheggiatori del
PKK, reato per il quale in Iraq è prevista la pena di morte. Il gruppo allora ha risposto
che, se si era indagati, doveva esserci anche la possibilità di una difesa legale. Poi
questa accusa è stata accantonata, ma l’interrogatorio è proseguito fino all’una di
notte. Il gruppo ha ribadito che l’“Associazione Verso Il Kurdistan” è un ente di
volontariato che in questo momento si occupa in particolare della costruzione di un
ospedale a Duhla, nel territorio abitato dalla popolazione yazida e che l’obiettivo del
viaggio era quello di portare aiuti concreti.
Cosa che è stata fatta.
Inoltre, il gruppo ha ricordato agli agenti che dal 2022 sono stati fatti quattro viaggi
in territorio yazida: nel primo la delegazione dopo alcune vicissitudini era stata
portata a Shengal da due agenti dei servizi di sicurezza che erano rimasti lì, con loro,
per tutto il tempo della visita; nel 2023 di nuovo alcuni agenti dei servizi avevano
trattato sulla presenza per una settimana e non per un solo giorno della delegazione
nel distretto di Shengal; nel 2024 la delegazione era potuta arrivare presso la
popolazione yazida senza problemi. Solo quest’anno c’è stato questo intervento
repressivo nei confronti di un viaggio a scopo umanitario.
Alla fine dell’interrogatorio gli agenti volevano far dormire il gruppo nella cella di
sicurezza; al rifiuto netto ricevuto, il gruppo è stato portato a dormire in un ufficio. Il
mattino dopo, alle quattro, si è ripartiti per Baghdad, ma ancora una volta il gruppo
non è stato portato in ambasciata, ma nella sede centrale dell’intelligence iracheno. Lì
si è svolto un nuovo interrogatorio, alla presenza però in questo caso
dell’ambasciatrice italiana. Da parte nostra è stata ribadita la motivazione del viaggio.
Alla fine ci è stato detto, a parole e con nessun documento scritto, che l’Associazione
è riconosciuta in Italia ma non in Iraq. Non si capisce però allora perché nei
precedenti viaggi il gruppo è stato scortato verso la meta dai servizi. Inoltre, non è
stato emanato nei nostri confronti alcun decreto di espulsione.
Il motivo evidentemente è un altro: la pressione della Turchia sul governo iracheno a
isolare la popolazione yazida e a impedire il ritorno di molti profughi in luoghi abitati
da loro da millenni. Una montagna considerata strategica perché situata al confine a
ovest con il Rojava e a nord proprio con la Turchia, che continua a colpire con i droni
un popolo che nel 2014 ha subito un genocidio riconosciuto dall’ONU e dal
parlamento europeo, ma che ha saputo riconquistare la propria terra sconfiggendo
l’ISIS e costruendo una forma di governo del territorio ispirata alla democrazia di
base, a una concreta parità tra uomo e donna, all’ecologia umana e ambientale.
Per questo, nonostante il rientro anticipato imposto senza motivi dal governo
iracheno, la nostra Associazione continuerà a sostenere la popolazione yazida,
soprattutto con i progetti per l’istruzione e la sanità, i due principi cardine su cui può
rinascere una società dopo essere stata distrutta.
Pensiamo che sia urgente anche il riconoscimento del genocidio da parte del
parlamento italiano.
Associazione Italiana Verso il Kurdistan
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Legenda
Dal 2021, l’Associazione Verso il Kurdistan Odv ha fatto quattro viaggi, organizzati in
delegazioni, per portare aiuti concreti alla popolazione yazida, finanziando soprattutto la
costruzione di presidi sanitari e in questo momento la costruzione di un ospedale –
l’ospedale di Duhla, in una zona di 30 mila abitanti totalmente sprovvista di qualsivoglia
struttura sanitaria – oltre ad altri aiuti per le scuole. Istruzione e sanità, i due principi base
da cui può partire la rinascita di una società. Nelle delegazioni sono sempre stati presenti
medici, operatori sanitari, sindacalisti e persone impegnate nel lavoro sociale.
Nel 2021, la prima delegazione, nella quale erano presenti Zerocalcare, che a Shengal ha
dedicato una delle sue opere, e la giornalista Chiara Cruciati, che poi ha scritto il libro “La
montagna sola” dedicato sempre alla storia della popolazione yazida, ha incontrato
difficoltà ad alcuni check point presidiati da milizie locali. A quel punto due agenti dei
servizi segreti iracheni hanno accompagnato i componenti della delegazione a Shengal e
sono rimasti lì con loro per due settimane, ufficialmente a tutela degli stessi.
Nel 2023, la delegazione è stata scortata, negli ultimi cento chilometri, sempre da due
agenti: dopo una faticosa trattativa, ha avuto il permesso di rimanere fino al giorno della
partenza stabilita.
Nel 2024, la delegazione è arrivata a Shengal senza nessun problema.
Quest’anno invece è capitato il sequestro per due giorni e una notte dei/delle componenti
della delegazione da parte dei servizi segreti iracheni, come si trova scritto in maniera
dettagliata nel comunicato dell’Associazione Verso il Kurdistan. Semplicemente una cosa
inaccettabile, anche perché alla fine non è stata contestata alcuna accusa e non è stato
emesso nessun decreto di espulsione.
Il contesto
L’Associazione Verso il Kurdistan ha organizzato il viaggio di quattro delegazioni a partire
dal 2022 in Iraq, nel distretto di Shenga (Sinjar in arabo), dove vive la popolazione yazida
(o ezida), da millenni. Gli yazidi sono stati sottoposti, nel corso della Storia a diversi
massacri, ferman li chiamano loro, ma sono sempre stati tenacemente determinati a
rimanere su quella che considerano da millenni la loro terra.
L’ultimo massacro, avvenuto il 3 agosto del 2014, ha visto come loro carnefice l’ISIS (o
Daesh, come viene chiamato in Medio Oriente). Un vero e proprio genocidio, riconosciuto
dall’ONU, dal Parlamento europeo e in agenda da ormai troppo tempo presso il
Parlamento italiano.
Migliaia di uomini uccisi, migliaia di donne e bambini resi schiavi.
Decine di migliaia di soldati iracheni e 12.000 peshmerga, che teoricamente erano schierati
a difesa della popolazione yazida, sono fuggiti lasciando le armi ai millecinquecento
miliziani del califfato che avevano scatenato l’attacco contro Shengal.
Gli e le yazide sopravvissuti sono fuggiti verso le montagne, complessivamente in
350.000: il loro esodo. Lì hanno trovato poche decine di militanti del PKK, che li hanno
aiutati ad aprirsi un varco verso la Siria, ma anche a costituirsi in unità di autodifesa
maschili e femminili. Queste formazioni nel 2017 sono riuscite a riprendersi la città di
Shengal, cacciando l’ISIS. Da allora si sono date una forma di autogoverno territoriale,
fondato sui principi del confederalismo democratico: democrazia di base, assoluta parità
tra uomo e donna, ecologia ambientale e sociale.
Faticosamente poi, gli/le yazide stanno ritornando dai campi profughi e hanno cominciato
a costruirsi delle piccole case in mattoni partendo dalle tende donate dall’UNHCR. Perché
l’ISIS prima e i bombardamenti americani contro lo Stato Islamico poi, hanno distrutto
quasi tutto.
A questa popolazione, l’Associazione Verso il Kurdistan, che in precedenza aveva
finanziato la costruzione di un presidio sanitario nel villaggio di Serdest e aveva
contribuito a realizzare alcuni progetti (la ristrutturazione di due asili per l’infanzia, una
scuola di computer e di lingua madre, una sartoria per le donne) , ha dedicato i fondi
raccolti con donazioni o attraverso le sue campagne di sensibilizzazione.