In questa rubrica riprendiamo in sintesi, ma fedelmente, opinioni, commenti ed editoriali apparsi sulla stampa araba, che valutiamo siano di un certo interesse per il lettore italiano.
La pubblicazione non significa affatto la condivisione delle idee espresse.
Un’alternativa all’Europa… Perché il Marocco è diventato meta stabile e non soltanto di transito per i migranti dell’africa sub-sahariana?
Di Magida Bou-Izza
Data di pubblicazione27/1/2022
Portale Mouhajer News
“Non sono passati molti anni da quando il Marocco ha scelto la strada dell’apertura verso la sua dimensione africana, ma malgrado ciò il paese ha fatto importanti passi verso l’accoglienza dei migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana, non soltanto come territorio di transito, bensì di permanenza stabile. Quali sono gli incentivi che il paese offre e che lo hanno fatto preferire rispetto a scegliere di proseguire verso l’Europa?”. Con questa domanda comincia la sua inchiesta sul campo l’autrice dell’articolo ospitato dal portale Mouhajer News.
“Babakar Kakhati proviene dal Senegal ed ha studiato in un’università marocchina. Dopo la laurea ha ottenuto un’offerta di lavoro allettante ed ha deciso di rimanere nel regno. ‘Sono riuscito ad avere un buon impiego con uno stipendio incentivante, per questo ho scelto di rimanere qui invece di ritornare nel mio paese’, ha affermato Babakar. Dopo alcuni anni di lavoro dipendente, ha scelto di investire i suoi risparmi in un progetto tutto suo. Opera nel settore dei trasporti internazionali ed ha scelto la sede delle sue attività nella capitale economica Casablanca.
Babakar non è l’eccezione. Molti giovani dell’Africa sub-sahariana scelgono il Marocco come destinazione del loro progetto migratorio. Uno di questi è il giornalista Khadim Mbaye. Dopo aver concluso i suoi studi universitari all’Istituto Superiore per l’Informazione e le Comunicazioni, in Marocco, è tornato in Senegal dove ha lavorato per diverse testate giornalistiche televisive di prestigio, ma poi ha optato di tornare nel regno: ‘Ho avuto un’offerta professionale migliore ed una retribuzione più alta. Ho scelto di ritornare per un’esperienza nuova’. Khadim è da quattro anni un redattore in un quotidiano marocchino in lingua francese e si è specializzato in economia, salute e affari”. […]
Secondo il ricercatore in Sociologia Politica, Moustafà Taj, ‘Considerata la sua posizione geografica e viste le recenti aperture al contesto [africano]…, il Marocco è diventato una meta sia come paese ospitante sia come territorio di transito. È la conseguenza della scelta politica del Marocco di tornare nell’ambito africano e riprendere il suo ruolo nell’Unione Africana […]’.
Le esperienze per scegliere il Marocco come luogo del progetto migratorio sono diverse. Molti migranti che hanno visto fallire il loro viaggio verso l’Europa, hanno deciso di rimanere senza documenti legali nel regno, anche a causa delle alte cifre che chiedono i trafficanti di esseri umani. Chi ha una professione può inserirsi nel mercato del lavoro e regolarizzarsi. Inoltre ci sono molte somiglianze culturali e una comune fede religiosa che accomunano i migranti dell’Africa sub-sahariana con la società marocchina.
L’autrice conclude l’articolo con l’amara constatazione che “Mentre il paese accoglie e offre ai migranti dell’Africa sub-sahariana opportunità di lavoro, migliaia di marocchini continuano a percorrere la strada dell’emigrazione illegale. che molte volte causa la morte e tante sofferenze per le famiglie”.
I limiti delle nuove frontiere della guerra in Yemen
Redazione di Al-Marsad Yemen
29.1.2022
“Una ricerca recente ha sostenuto che la guerra in Yemen, entrando nel suo ottavo anno, ha visto una nuova svolta in seguito all’avvio di un’offensiva orchestrata dalla coalizione araba nelle province di Shabwa e Maaib, ricche di petrolio. Gli Houthi hanno risposto spostando il fronte dello scontro negli scenari dei centri nodali del commercio internazionale e capitali del benessere economico negli Emirati Arabi Uniti”.
L’analisi preparata dal Centro Abaad di Studi e Ricerche sostiene che ci sono state motivazioni locali, regionali e internazionali che hanno portato la coalizione araba ad intraprendere quella offensiva denominata ‘Libertà per lo Yemen Felice’, lo scorso 10 gennaio. Il rifiuto da parte degli Houthi dell’iniziativa di Riad, l’intensificazione degli attacchi aerei contro il territorio saudita e le ingenti perdite subite a Maarib sono i motivi principali di questa offensiva. I cambiamenti [Nelle cancellerie internazionali] sono avvenuti, malgrado le critiche avanzate nei confronti di Riad nei sette anni passati, a causa dell’intransigenza degli Houthi nel rifiuto di qualsiasi trattativa ed anche per il timore dell’allargamento dell’influenza iraniana nella zona. Gli Stati Uniti sono passati dalle pressioni su Riad e dalla cancellazione degli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche alla fornitura di nuovi armamenti all’Arabia Saudita […].
L’analisi elenca tre scenari possibili per gli sviluppi della situazione in Yemen: 1) Proseguimento della pressione militare, ma questa strada non porterà frutti…; 2) condanne internazionali degli Huothi, ripotarli nella lista USA delle organizzazioni terroristiche e imporre delle sanzioni pesanti economiche e finanziarie contro di loro per impedire che sfruttino le risorse petrolifere e degli aiuti internazionali. Questo percorso richiede, però, dei meccanismi rigidi di controllo, perché i Houthi, come l’Iran ed i suoi alleati nella regione, hanno un’esperienza lunga nell’aggirare queste sanzioni. 3) Il ricorso degli Houthi ad accettare una trattativa per alleggerire le loro perdite, ma in questa eventualità bisogna introdurre delle garanzie di rispetto degli accordi per non finire come quelli precedenti ed in particolare i negoziati di Stoccolma. Questo scenario è il più probabile per la volontà internazionale di mettere fine alla guerra in Yemen e per le necessità degli Houthi di ridurre le pressioni militari subite”.
L’analisi conclude che a causa dell’uso da parte di Teheran della crisi yemenita come carta di pressione nelle trattative di Vienna sul nucleare iraniano ed a causa del timore di un allargamento del conflitto a livello regionale, la fine del conflitto non è più nelle mani degli attori locali, ma la decidono le potenze regionali ed internazionali.
Il rapporto integrale di Abaad (in arabo)
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