Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo

13 novembre 2021

Rassegna anno II/n. 136

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I titoli

Afghanistan: Attentato in una moschea del Nangarhar, al confine con il Pakistan.

Sudan: Oggi grande mobilitazione contro i militari golpisti. Arrestato un dirigente sindacale.

Etiopia: Il governo pone precondizioni per intavolare trattative con i ribelli tigrini.

Libia: Conclusa la conferenza di Parigi. Sanzioni a chi ostacola le elezioni.

Eritrea: Provvedimenti USA contro l’esercito e il partito unico al potere.

Le notizie

Afghanistan

Un attentato in una moschea della provincia orientale di Nangarhar, il giorno della preghiera collettiva del venerdì. Secondo fonti mediche locali ci sono stati 3 morti e 15 feriti. La polizia taliban sostiene che un attentatore suicida si è fatto esplodere in mezzo ai fedeli durante lo svolgimento del rito religioso. Nella zona è molto attiva l’organizzazione terroristica Daiesh (Isis-Khorasan).

Nel paese la violenza politica è quotidiana. Gli squadroni della morte dei nuovi padroni taliban non hanno mai smesso di perseguitare gli avversari e tutti coloro che non si sono sottomessi al loro potere. ONG internazionali, che hanno mantenuto la loro presenza in Afghanistan tramite personale locale, segnalano le esecuzioni extragiudiziarie con impiccagioni pubbliche. Attivisti afghani hanno riferito che i taliban hanno messo mano su elenchi del governo e delle truppe statunitensi e Nato con i dati sensibili degli ex collaboratori, i quali vengono convocati con l’inganno, a nome di enti fittizi, con la promessa di espatrio.

Sudan

I sindacati hanno respinto le decisioni dei golpisti che hanno ridisegnato il Consiglio presidenziale, escludendo le forze che si sono battute due anni fa per la caduta del regime di Omar Bashir. “È una restaurazione che non passerà. La resistenza continuerà fino alla sconfitta del colpo di Stato”, si legge in un comunicato. Il fronte delle forze per la libertà e il cambiamento ha indetto per oggi una grande manifestazione di popolo. In questi giorni, malgrado l’interruzione delle comunicazioni Internet, si sono svolte manifestazioni partecipate, anche notturne, in tutto il territorio nazionale.

I golpisti non solo non hanno liberato il premier, i ministri e le centinaia di attivisti, ma stanno proseguendo gli arresti dei dirigenti sindacali. Il medico Mohammed Naji Al-Asamm, protagonista della rivolta contro il dittatore Al Bashir, è stato arrestato nella notte tra giovedì e venerdì e condotto in una località ignota. Il portavoce del segretario generale dell’ONU ha espresso la sua preoccupazione per gli ultimi sviluppi in Sudan ed ha chiesto il ritorno ad un governo civile.

Etiopia

Il governo di Addis Abeba mette delle condizioni per intraprendere negoziati con il Fronte popolare tigrino. Il portavoce del governo, Dina Mufti, ha smentito uno dei ministri che aveva anticipato l’accettazione della mediazione dell’Unione Africana. Le condizioni poste sono il ritiro dei ribelli da tutte le località occupate fuori dalla provincia del Tigray e il riconoscimento della legittimità dell’attuale governo federale. La risposta del PFLT non è tardata ad arrivare: “La nostra presenza ad Amhara ed Afar è necessaria per permettere l’arrivo degli aiuti umanitari alla popolazione assediata”.

Posizioni al momento inconciliabili e che alimentano lo scontro nei diversi fronti di battaglia e soprattutto accrescono le sofferenze delle popolazioni civili di tutte le etnie. Tutti gli analisti sostengono che il conflitto in Etiopia somiglia sempre di più allo smembramento dell’ex Jugoslavia negli anni ’90 del secolo scorso.

Libia

Si è conclusa a Parigi la conferenza sulla Libia. Il comunicato finale auspica lo svolgimento delle elezioni nella data prefissata dal Consiglio di Sicurezza per il 24 dicembre e il ritiro delle truppe straniere e dei mercenari. Il tavolo della presidenza era allargato anche all’Italia, Germania, ONU e Libia. Da Tripoli sono arrivati sia il presidente Mnefi sia il premier Dbeiba, che nei giorni scorsi hanno avuto un braccio di ferro sulla politica estera. Una frase infelice di quest’ultimo ha tradito lo spirito con il quale viene affrontato il tema elezioni nell’elite politica al potere a Tripoli: “Se queste elezioni si svolgeranno con trasparenza e correttezza, consegnerò il governo a chi vincerà”.

La posizione dell’Italia espressa dal presidente Draghi nella conferenza stampa finale tradisce un supporto surrettizio alle posizioni dell’islam politico che mette ostacoli alla tenuta delle elezioni. Non ha chiesto il ritiro delle truppe straniere e dei mercenari (probabilmente per non mettere in evidenza la presenza dei 500 soldati italiani a Misurata e Tripoli), ma ha preteso che le elezioni politiche e presidenziali siano simultanee e che si faccia una legge elettorale con l’accordo di tutti. Queste stesse richieste sono avanzate dalla Fratellanza Musulmana, dimenticando che una legge elettorale c’è già ed è stata votata dall’attuale Parlamento unitario che rappresenta tutti. Le proteste dell’Islam politico e delle sue milizie “Vulcano di Rabbia” sono pretestuose e servono a rinviare il voto e mantenersi attaccati alle poltrone. Infatti il presidente del Congresso consultivo, El-Meshri, ha rilasciato un’intervista pochi giorni fa ad un’emittente araba nella quale ha annunciato, già da ora, che non saranno accettati i risultati delle elezioni, sostenendo che la regione occidentale (Tripolitania) si solleverà con le armi. Una posizione minoritaria che alza la voce perché conta sull’obbedienza delle milizie foraggiate con il bilancio dello Stato e sicura del sostegno militare della Turchia e quello politico dell’Italia.

Non è il tempo di tergiversare: il popolo libico vuole le elezioni, infatti si sono registrati negli elenchi degli elettori 3 milioni di cittadini e cittadine. L’unico modo di mettere fine all’instabilità è quello di dare la parola al popolo e di accettare il responso delle urne. Mandare segnali diversi aiuta soltanto coloro che vogliono sguazzare nel torbido.

Eritrea

Gli Stati Uniti hanno annunciato sanzioni contro l’esercito eritreo ed il partito al governo ad Asmara, accusandoli di partecipazione alla guerra in Tigray. Le entità sanzionate sono: le Forze di difesa dell’Eritrea (Edf); il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (Pfdj), partito unico al potere del presidente Isaias Afwerki; la holding Hidri Trust; la società Red Sea Trading Corporation. Le persone finite nella lista nera del Dipartimento del Tesoro di Washington sono: Hagos Ghebrehiwet W Kidan, consigliere economico del partito; Abraha Kassa Nemariam, capo dell’Ufficio per la sicurezza nazionale. Il comunicato di Washington minaccia di sanzioni anche il governo di Addis Abeba e il Fronte popolare del Tigray in caso non cessino le ostilità.

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