Riprendiamo da il manifesto (QUI)

di IAIN CHAMBERS*

Gaza – le strade, gli edifici, molte delle persone – non esiste più. Tutto distrutto e azzerato dalle forze di occupazione israeliane e da una delle più potenti macchine da guerra del mondo. Gaza è stata occupata direttamente o indirettamente da Israele per decenni.

Tutti coloro che entrano ed escono da Gaza sono sotto la gestione della potenza coloniale, anche i materiali da costruzione, le medicine e i materiali sanitari, il cibo, l’acqua, le onde elettromagnetiche per le comunicazioni, il sistema bancario e finanziario (ora congelato dal
governo israeliano). Tutto, compresi i registri catastali e di nascita e di morte, è nelle mani di Tel Aviv. Nelle ultime settimane si sta passando dalla più grande prigione a cielo aperto del mondo al più grande cimitero profanato del mondo.
Esiste una storia della Palestina che è anche la storia dell’Europa e del costante rifiuto della nostra responsabilità. Secoli e secoli di antisemitismo europeo sono stati scaricati nel cosiddetto Medio Oriente (a sua volta un’invenzione coloniale europea), scaricato nel mondo arabo, prima offerto come spazio dall’impero britannico a un gruppo di ebrei europei, in seguito sancito dal giusto senso di colpa per la Shoah. E poi suggellato dal rifiuto dei paesi europei, dopo la Seconda guerra, di accogliere, nonostante tutto, i rifugiati ebrei sopravvissuti allo sterminio.
Ma in questo modo l’Europa non ha risolto nulla; si è solo sottratta dalle proprie responsabilità caricando, sempre con un gesto coloniale, i palestinesi del suo fardello e della
sua vergogna.
Dai secoli dell’antisemitismo e della Shoah sembra che in questo momento l’Europa non abbia imparato nulla, se non a ripetere il mantra di una memoria svuotata. Tradotto negli ultimi settant’anni in un sostegno incondizionato allo Stato di Israele, alla fine sono l’Europa e l’Occidente ad aver creato Hamas e la tragedia che si sta consumando a Gaza e sta maturando sotto le leggi militari nella Cisgiordania.
Siamo noi che abbiamo prodotto e sostenuto il sistema coloniale che ha permesso la
nostra appropriazione del pianeta, anche se Israele sembra drammaticamente fuori
dal tempo massimo con pratiche e politiche che rappresentano l’apice del colonialismo
brutale, palese e senza pudore. Ora è uno Stato canaglia fuori controllo persino dal
suo padrone americano. Tuttavia, nonostante l’anacronismo, fa parte della stessa
grammatica di insediamenti bianchi europei che hanno terrorizzato e massacrato gli
indigenti nelle Americhe, Australia e Nuova Zelanda con pulizie etniche e massacri di nativi.
Ciò che rimane ovunque è la struttura di violenza che caratterizza tutte le relazioni
coloniali, sia per il colonizzatore che per il colonizzato. La razzializzazione del mondo –
per cui alcune vite valgono più delle altre – ha permesso all’Europa di esportare questa violenza altrove, in spazi extraeuropei, almeno fino al terzo decennio del secolo
scorso e allo shock della Shoah, dove per la prima volta queste pratiche sono state
esercitate in modo massiccio e industriale sul suolo europeo nei campi dello sterminio su una parte della popolazione bianca europea.
Ormai queste storie ritornano, tornano con i corpi dei migranti che noi abbiamo reso anonimi, illegali, poco meno che umani, e poi con i palestinesi e i musulmani che abbiamo ridotto alla negazione dell’Occidente e dei suoi valori per giustificare la nostra paura dell’altra, e per
permetterci a continuare senza renderci responsabili di questo mondo che abbiamo creato.
Nel frattempo sia a Gaza che nei Territori occupati, e soprattutto nella diaspora palestinese, l’arte della sopravvivenza si è tradotta e trasformata nella sopravvivenza delle arti: nella poesia e nella letteratura, nel cinema e nella musica, nel pensiero critico.
Questa poetica sfida e resiste la politica della negazione e della morte, e rende vivo ciò
che Israele e le voci istituzionali dell’Occidente vogliono che resta anonimo e senza
voce. Nel mettere a nudo l’oscena violenza del Primo Mondo, si svela tutta l’ipocrisia dei cosiddetti valori morali dell’Occidente, ora messi alla prova dalla storia degli altri e delle altre che ne hanno subito la sua superbia: da Gaza al Sudafrica. La questione della Palestina è diventata il laboratorio del mondo moderno, dove la storia non detta dell’Occidente insiste e torna a incontrare i suoi spettri.
Quando una cosiddetta democrazia dipende strutturalmente dalla negazione dei diritti e dalla negazione della democrazia alle altre e agli altri, siamo al limite delle nostre premesse e pretese: sia per quanto riguarda Israele nel suo confronto con i palestinesi, sia per quanto riguarda l’Occidente e il suo rapportarsi con il resto del pianeta. E per questo dobbiamo parlare della Palestina ogni giorno. Sia le vite dei palestinesi che il nostro futuro dipendono su questa conversazione. Come ha detto recentemente Angela Davis «dobbiamo depositare i nostri sogni in Palestina».

  • L’autore Iain Michael Chambers (1949) è un antropologo, sociologo ed esperto di studi culturali britannico. Membro del gruppo diretto da Stuart Hall all’Università di Birmingham, Chambers è stato uno dei principali esponenti del celebre Centro per gli Studi della Cultura Contemporanea ivi fondato, che ha dato vita a una fiorente branca della sociologia anglosassone contemporanea. Successivamente si è trasferito in Italia dove insegna Studi culturali e postcoloniali all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” ed ha fondato il Centro per gli Studi Postcoloniali. È autore di numerosi volumi di successo scritti in inglese e in italiano e tradotti in diverse lingue. I suoi campi di studio spaziano dall’urbanizzazione alla cultura popolare, la musica, la memoria, la modernità.

  • Iain Chambers interverrà sul tema questa sera (09 febbraio 2024) a Napoli al Cinema Astra in occasione della proiezione di due film sulla Palestina, Erasmus in Gaza e 200 Metri.

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