Questa intervista risale allo scorso ottobre, ma conserva non solo la sua validità dell’analisi, ma una conferma ulteriore alla luce delle atrocità compiute dai soldati e generali israeliani.

di Rachida El Azzouzi (da Mediapart, 28 ottobre 2023)

In un’intervista a Mediapart, lo scrittore e giornalista Michel Warschawski, figura di spicco del movimento pacifista e della sinistra israeliana, impegnato a contrastare l’occupazione e la colonizzazione, denuncia il “crimine contro l’umanità” che lo Stato ebraico sta perpetrando contro i civili di Gaza.

Mediapart: Dal 7 ottobre Israele, in risposta ai massacri di Hamas sul suo territorio, bombarda indiscriminatamente la Striscia di Gaza, uccidendo e ferendo migliaia di civili. Questa notte di bombardamenti è stata una delle più intense nell’enclave palestinese, tagliata fuori dal mondo (Internet e telecomunicazioni) dallo Stato ebraico. Come descriverebbe queste violenze?

Michel Warschawski: Siamo andati oltre i crimini di guerra, abbiamo a che fare con un crimine contro l’umanità a Gaza. La Corte Penale Internazionale deve occuparsi della questione. La popolazione di Gaza sta ancora una volta pagando un prezzo altissimo, ma questa carneficina e le migliaia di morti a Gaza non hanno calmato l’opinione pubblica israeliana, che si sente molto minacciata.

Sono molto preoccupato dalla follia del nostro governo di estrema destra, sul quale la pressione internazionale e i discorsi per calmare le acque hanno ben poca presa. Siamo di fronte a estremisti che sono anche incapaci oltre che delinquenti. Netanyahu è loro ostaggio. E questo fa paura.

Sono rimasto sbalordito dai massacri commessi da Hamas. Mi ha stupito anche l’assenza dello Stato, di Benyamin Netanyahu e dei suoi alleati di estrema destra.

MP: La barbarie e la vendetta cieca sono le nuove bussole che orientano entrambe le parti in un conflitto che si è impantanato da decenni?

MW: Innanzitutto, rifiuto la simmetria tra le due parti. C’è un occupante e un occupato. Anche se la parte occupata usa metodi intollerabili che vanno condannati. Non dobbiamo mai dimenticare che Israele è l’occupante e detiene la chiave della soluzione. I palestinesi sono spinti al limite, dalla disperazione ma anche da un sentimento di dignità: “Visto che dobbiamo morire, moriamo combattendo per la nostra terra”.

Sono rimasto allibito e lo sono ancora oggi per i massacri commessi da Hamas. Tutti noi abbiamo qualcosa di opprimente dentro di noi, qualcosa che ci pesa. Mia figlia e le sue amiche hanno iniziato a piangere il 7 ottobre e noi uomini qualche giorno dopo. Ciò che mi ha colpito di più è stata, ovviamente, la violenza, anche se posso capire da dove proviene: da una leadership politica e da una popolazione che vivono a Gaza, in una pentola a pressione che prima o poi esplode.

Ma mi ha colpito anche l’assenza dello stato, di Benyamin Netanyahu e dei suoi alleati di estrema destra. È stata la società civile a prendere in mano la situazione. E ancora oggi, ad esempio, i rifugiati che vengono dalle città ebraiche intorno a Gaza sono accolti da associazioni e gruppi di cittadini, non dallo stato. Tanto che Netanyahu ha detto per la prima volta: “Quando la guerra sarà finita, dovremo fare un bilancio”. Lo Stato non è stato all’altezza della situazione.

MP: Lei dice che “Israele ha la chiave della soluzione”. Qual è questa soluzione?

MW: Ritirarsi dai territori occupati. E non provocare un’altra nakba [“catastrofe” in arabo, riferita alla fuga o all’espulsione dalle loro case di quasi 760.000 uomini e donne palestinesi durante la prima guerra arabo-israeliana, che coincise con la creazione dello Stato di Israele – n.d.t.]. Un ministro del governo israeliano ha detto che dovevamo finire il lavoro del 1948. Il nostro governo è ossessionato dall’idea che abbiamo mantenuto troppi palestinesi sul nostro territorio e intende creare l’opportunità di ripulire Israele e trasformarlo in uno stato demograficamente ebraico, cioè composto interamente o quasi da ebrei.

Questo è in linea con la Legge Fondamentale approvata due anni fa: Israele come popolo-nazione, come Stato-nazione del popolo ebraico.Questo è totalmente contrario agli impegni presi dal giovane Stato di Israele per essere accettato dalle Nazioni Unite nel 1949. L’idea non è solo quella di non riconoscere più i diritti nazionali dei palestinesi, ma anche di sbarazzarsi di loro il più rapidamente possibile. È terrificante.

Non si possono mettere due milioni di persone in una pentola a pressione a Gaza e non rendersi conto che prima o poi esploderà.

MP: Il conflitto israelo-palestinese è tornato in primo piano sulla scena geopolitica nel modo più sanguinoso. Questa violenza omicida senza precedenti è anche la conseguenza della rimozione della questione palestinese che molti ambienti diplomatici, in Occidente come nei Paesi Arabi, hanno voluto seppellire, in particolare con gli Accordi di Abramo?

MW: Sì, il conflitto israelo-palestinese è ancora molto presente nella realtà. Ma alcuni di coloro che sono al potere in Israele credevano che potessimo ignorare completamente la questione palestinese e normalizzare le relazioni con i Paesi Arabi come se nulla fosse accaduto. Si sbagliavano di grosso.

Israele vuole avere la botte piena e la moglie ubriaca, cioè da un lato normalizzare le relazioni, ma dall’altro non cambiare nessuna delle sue politiche. Ho visto le immagini in televisione delle grandi manifestazioni che hanno avuto luogo in paesi arabi come il Marocco. I regimi arabi non possono ignorare che esiste un’opinione pubblica che condivide decisamente la sofferenza dei palestinesi.

Quello che è successo il 7 ottobre doveva prima o poi succedere. Ci incontriamo due volte alla settimana in un piccolo caffè con amici, più di sinistra che di destra, ma non necessariamente di estrema sinistra, piuttosto anziani. Non sono in cerca di vendetta. In genere sono persone ragionevoli, ma questa volta abbiamo dovuto spiegare loro quanto fosse inevitabile questa violenza.

MP: Perché questa violenza era inevitabile?

MW: Perché è il principio della pentola a pressione che deve esplodere! Non si possono mettere due milioni di persone in una pentola a pressione come Gaza e non capire che prima o poi esploderà. Due milioni di persone sono state rinchiuse in un piccolo territorio e sottoposte a un blocco totale per oltre un decennio.

Questi due milioni di persone hanno dei diritti, a cominciare dal diritto di esistere e di respirare. Israele, per rappresaglia, li sta sottoponendo a un assedio totale, tagliando loro acqua, cibo, medicine, elettricità, Internet e telecomunicazioni. Questa sua risposta è inaccettabile.

Vedo in Occidente, in particolare in Francia, dibattiti pietosi che non sono all’altezza dell’estrema gravità del momento. Invece di usare tutte le loro leve per imporre un cessate il fuoco immediato, molti leader politici preferiscono giurare fedeltà a Israele. Davanti agli occhi del mondo intero, sono complici di un crimine contro l’umanità.

MP: La sinistra israeliana può ancora parlare agli israeliani della realtà palestinese dopo il 7 ottobre, o sta morendo?

MW: È in cattive condizioni da un po’ di tempo e non migliorerà. La forza della sinistra israeliana è stata quella di essere ebreo-araba. E il fatto che fosse ebreo-araba le dava anche forza numerica. Gli ebrei israeliani erano in minoranza. Ma dal 2000 in poi, il fronte ebreo-arabo ha subito un duro colpo, riducendo il peso numerico delle manifestazioni contro la guerra e l’occupazione. Oggi ne paghiamo le conseguenze.

MP: Ha ancora un po’ di speranza?

MW: Mio nonno, con il buon senso di un ebreo polacco emigrato in Francia senza molta istruzione, ci diceva sempre: “Non sappiamo cosa ci riserva il futuro, quindi tanto vale scommettere sul meglio e non sul peggio”. Questo è anche il mio carattere. So che ci sono possibilità. È solo una questione di volontà politica e di pressione internazionale. D’altra parte, non è escluso che questa sequenza di follie omicide possa precipitare la caduta di Netanyahu, il che sarebbe una gioia personale condivisa da molti israeliani.

L’opinione pubblica israeliana è molto volatile. Oggi può essere iper-bellicista e saltare molto rapidamente su ciò che sembra essere una soluzione. Tel Aviv guarda soprattutto all’Europa, all’Occidente. E poi c’è il resto di Israele. Che assomiglia un po’ alle vostre città e alle vostre periferie. Si tratta di popolazioni che generalmente votano a destra, a differenza di Tel Aviv, che è molto più di sinistra, di centro-sinistra.

E questa spaccatura, a mio avviso, si accentuerà. Ci sono due Israele. D’altra parte, per decenni i nostri sobborghi sono stati indicati come la “seconda Israele”, in particolare le città povere che confinano con Gaza.

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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