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INSETTI, RIFIUTI E MALATTIE. CATASTROFE SANITARIA A GAZA. L’ARRIVO DEL CALDO E  LA FUGA DA RAFAH HANNO AGGRAVATO UNA SITUAZIONE GIA’ DISASTROSA.  ORMAI ANCHE UN LIVELLO MINIMO DELLE CONDIZIONI IGENICO-SANITARIE SONO UN MIRAGGIO

Cosa il governo israeliano voglia fare di Gaza dopo la guerra, ancora non lo hanno detto, invece hanno le idee molto chiare i coloni su cosa dovrà essere Gaza. Leggete in allegato l’articolo di Francesca Mannocchi pubblicato sulla stampa il 17 maggio, parla la madrina dei coloni israeliani.

Report della nostra cooperante Giuditta Brattini

Il Ministero della Salute palestinese avverte della grave carenza di medicinali e materiali di consumo medici necessari per fornire servizi di emergenza, operazioni, cure primarie e vari servizi sanitari, il cui saldo è diventato pari a zero negli ospedali e nella fornitura di servizi, mettendo a rischio la vita dei pazienti. Fa appello a tutte le istituzioni umanitarie internazionali affinché si adoperino per fornirli e introdurre i beni necessari,  alla luce della continua aggressione e occupazione israeliana di tutti i valichi della Striscia di Gaza. Aggiornamento:

Ministero della Sanità palestinese a Gaza.
20 maggio 2024

Rapporto statistico quotidiano sul numero dei martiri e dei feriti a seguito dell’aggressione israeliana in corso nella Striscia di Gaza per il 227° giorno.

▪ L’occupazione israeliana ha commesso 10 massacri contro famiglie nella Striscia di Gaza, provocando la morte di 106 persone e il ferimento di 176 palestinesi nelle ultime 24 ore.
▪ Numerose vittime sono ancora sotto le macerie e sulle strade, senza che le ambulanze e la protezione civile possano raggiungerle.
Il bilancio dell’aggressione israeliana è salito a 35.562 martiri e 79.652 feriti dal 7 ottobre scorso.

Il Sottosegretario Generale alle Nazioni Unite per gli Affari  Martin Griffiths dichiara: “la carestia nel nord di Gaza è imminente. I palestinesi della striscia stanno affrontando una crisi insostenibile alla luce della mancata fornitura di aiuti al nord, una violazione del Diritto Internazionale Umanitario”.

Il nostro partner nella striscia di Gaza Palestinian Medical Relief Societ, grazie ai contributi raccolti ed inviati,  ha iniziato a distribuire  65 pacchi viveri a famiglie sfollate nelle tendopoli. La distribuzione era in corso nell’area di Rafah, ma il team del Palestinian Medical Relief Society ha dovuto evacuare e sospendere la distribuzione causa l’invasione israeliana via terra e come ci scrive dr. Aed Yaghi direttore del P.M.R.S. di Gaza “è importante avere in “sicurezza” i nostri operatori.” Ci auguriamo di poter riprendere la distribuzione al più presto.

Il pacco contiene: pasta, riso, olio, formaggio, farina, scatolette di: carne,  ceci, pomodoro, fagioli,  pesce e una  confezione di  thè.   

Sostenere l’azione di Fonti di Pace significa non solo “riempire gli stomaci”, ma dare aiuto alla resistenza quotidiana della popolazione

A GAZA SI MUORE  di BOMBE  di FAME  di MALATTIE:  AIUTIAMOLI !

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La stampa 17 maggio 2024
Reportage Francesca Mannochi
La madrina dei coloni
L’ex sindaca di Kedumin guida il movimento degli insediamenti ortodossi
dal cuore della Cisgiordania “La Palestina non esiste, è un’invenzione
moderna. Spazzeremo via la vergogna del ritiro dalla Striscia
Kedumim (Cisgiordania)
Daniella Weiss dice che la prima cosa che guarda la mattina appena sveglia è la
mappa di Gaza come sarà domani. Ricostruita seguendo i progetti degli architetti con
cui collabora, accogliente, prospera, abitata dai coloni e possibilmente senza
palestinesi.
Non pensa sia un sogno, ma un progetto. E pensa che poche persone abbiano una
visione. Lei la ha. Per questo non si cura di chi la critica e prova a ostacolarla.
Continua a lavorare per la sua idea dello Stato di Israele come ha fatto negli ultimi
cinquant’anni, anni nei quali è diventata per tutti: la madrina dei coloni.
Cercando notizie su di lei, la definizione più diffusa è: un’estremista di estrema destra
del movimento degli insediamenti sionisti ortodossi israeliani ed ex sindaco di
Kedumim, un insediamento israeliano situato in Cisgiordania. Lei preferisce
descriversi così: «Sono una sionista, attivista, una delle maggiori figure del
movimento dei coloni in Samaria e in Giudea, attiva nella creazione di nuovi
insediamenti. Sono stata coinvolta nella costruzione – su un totale di 300 – di almeno
200 nuovi insediamenti. Educo i più giovani ad avviare nuovi insediamenti».
Daniella Weiss è la madrina dei coloni.
Chi la definisce estremista, dice, non capisce che i suoi atti e le sue parole sono
guidati dalla Torah. Daniella Weiss è nata nella terra che sarebbe diventata lo Stato di
Israele tre anni prima della sua fondazione, nel 1945. Suo padre era nato negli Stati
Uniti e sua madre in Polonia.
Il suo impegno nella politica degli insediamenti è iniziato sulla scia della guerra del
1967, lei e la sua famiglia vivevano ancora a Tel Aviv. Poi all’inizio degli anni
Settanta la decisione di trasferirsi in Cisgiordania e fondare col marito e un gruppo di
amici l’insediamento di Kedumim nel 1975, illegale per la giustizia internazionale ma
autorizzato e riconosciuto dal governo israeliano. Insediamento di cui è stata sindaco
per due volte, in cui vive ancora oggi, dove vive anche il ministro delle Finanze

Bezalel Smotrich, anche lui come Ben Gvir esponente dell’ultra destra religiosa, dove
tutti si rivolgono a lei, ancora, mentre cammina, come fosse la guida di tutti. È stata
anche arrestata numerose volte, anche per aver aggredito un agente di polizia e aver
interferito con un’indagine sulla distruzione di proprietà palestinesi.
Quando si è trasferita a Kedumim, quasi cinquant’anni fa, ha vissuto in una tenda, poi
la tenda è diventata una capanna, poi una roulotte, poi un prefabbricato, poi la grande
casa in cui vive ora, arroccata su una collina che si affaccia sul terreno roccioso tutto
intorno.
È a questo che prepara le giovani coppie che si rivolgono a lei. A essere pronte alla
vita degli avamposti. Comunità che illegalmente si stabiliscono su un terreno,
occupandolo, prima con tende e container, fino a farle diventare una nuova colona
nella Cisgiordania occupata.
A questo serve il suo movimento, il Nachala Settler Movement, che lavora con i
movimenti giovanili e incoraggia i giovani a prendere parte alle marce, alla raccolta
di fondi attraverso “Hakupah Haleumit L’binyan Eretz Yisrael” (Il Fondo nazionale
per la costruzione di Eretz Yisrael) e ad attività “pionieristiche” su nuove colline.
Cioè nuove occupazioni.
Nachala significa madrepatria e si presenta così alle famiglie che vogliono farne
parte: «Nachala organizza gruppi di giovani coppie il cui obiettivo è fondare nuove
comunità in Giudea e Samaria. Ogni gruppo è composto da 15-25 famiglie. Il
movimento ha piantato i semi di 250 comunità ebraiche sulle colline della Giudea e
Samaria in cui vivono 600.000 ebrei». Ecco perché è la madrina dei coloni. Daniella
Weiss prepara i futuri coloni psicologicamente, fisicamente, ad andare a vivere su una
collina spoglia per trasformarla in una nuova comunità.
Come sua figlia, che vive nell’avamposto illegale di Evyatar, a venti minuti di
macchina da Kedumim. E, sottolinea, il suo lavoro non finisce lì. Lavorare sulla gente
senza lavorare per influenzare la politica, serve a poco. «Non sono nella Knesset, ma
influenzo la Knesset e il governo». Non stupisce che alla marcia che, assieme ad altri
movimenti, ha organizzato a Sderot il 14 maggio, Giorno dell’Indipendenza dello
Stato di Israele, erano presenti membri del Parlamento e il ministro della Sicurezza
Nazionale Itamar Ben Gvir.
La marcia verso Gaza
Tre giorni fa migliaia di persone – 11 mila secondo le registrazioni e 50 mila secondo

gli organizzatori – hanno marciato a Sderot per chiedere il reinsediamento israeliano
a Gaza. Di una Gaza, possibilmente senza arabi. La parola “palestinesi” Daniella
Weiss non la usa mai perché, dice, è «un’invenzione moderna. Non esiste la Palestina
quindi non esistono i palestinesi».
Tra i politici presenti due membri del governo, il ministro delle Comunicazioni
Shlomo Karhi, membro del partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu e
Ben Gvir che ha parlato dal palco. Pochi minuti sufficienti per riassumere gli obiettivi
futuri e i passati punti fermi del movimento dei coloni: «Dobbiamo tornare a Gaza
adesso! Stiamo tornando a casa in Terra Santa! E dobbiamo incoraggiare
l’emigrazione. Incoraggiare l’emigrazione volontaria dei residenti di Gaza. È
un’azione morale! È etico! È razionale! È giusto! È la verità! È la Torah ed è l’unico
modo! E sì, è umano! È la vera soluzione» ha scandito più volte.
È la seconda volta in pochi mesi che Ben Gvir propone «l’emigrazione palestinese da
Gaza» come il modo più rapido per risolvere il conflitto. La prima era stata in
occasione della conferenza tenutasi a gennaio, a Gerusalemme, per promuovere il
reinsediamento nella Striscia e dimenticare l’onta e l’errore del 2005.
Si riferiva al disimpegno unilaterale israeliano da Gaza deciso dall’allora Primo
Ministro Ariel Sharon nel 2005. 17 insediamenti ebraici della Striscia furono
smantellati, 8000 persone trasferite, consegnando il territorio all’Anp: «La
responsabilità del massacro del 7 ottobre – ha detto – ricade su coloro che hanno
espulso gli ebrei da Gush Katif», cioè il principale blocco di insediamenti che si
trovava a Gaza. «Spazzeremo via la vergogna dell’anno 2005 con la soluzione
nell’anno 2024-2025, a Dio piacendo».
Già nel 2017 un altro ministro del governo Netanyahu, Bezalel Smotrich, aveva
descritto l’incoraggiamento dell’«emigrazione» da Gaza come l’unica soluzione
possibile. Il suo progetto si chiamava “Piano Decisivo” e prevedeva la soluzione a
uno Stato e una soluzione per i palestinesi, «coloro che scelgono di non abbandonare
le proprie ambizioni nazionali riceveranno aiuti per emigrare in uno dei tanti Paesi in
cui gli arabi realizzano le loro ambizioni nazionali, o verso qualsiasi altra
destinazione nel mondo».
Altrimenti detto: uno sfollamento forzato.

A Daniella Weiss la definizione di sfollamento forzato, o espulsione collettiva,
tuttavia, non piace. Rifiuta persino che sia avvenuto durante la guerra arabo-israeliane
del 47-49.
Il giorno dopo la marcia, quando riceve La Stampa nella sua casa di Kedumim, è
molto netta: «Arabi di Gaza se ne vogliono andare, infatti stanno pagando per uscire
da lì».
L’obiezione che stiano pagando per salvarsi la vita o la vita dei loro figli, perché
vengono bombardati non la convince. Si dice sicura di sapere che vogliono lasciare la
Striscia. Non importa verso dove «Islanda, Canada, o i loro amici arabi: Egitto,
Giordania».
I confini della nazione ebraica che Daniela Weiss sogna «sono l’Eufrate a est e il Nilo
a sud-Ovest, dall’Iraq all’Egitto». Non per questo, ci tiene a specificare, vorrebbe che
Israele attaccasse domani l’Iraq o l’Egitto, ma a volte «alcuni eventi accelerano il
percorso della Storia».
Come il 7 ottobre. Weiss sognava da tempo che gli israeliani tornassero a Gaza, ma
non era nei suoi imminenti propositi fare pressione al governo per questo. Era
impegnata a difendere i coloni in Cisgiordania e incentivare nuove famiglie a creare
altri avamposti. Poi il massacro del 7 ottobre ha cambiato tutto. E lei ha cominciato a
vedere davanti a sé la nuova Gaza.
La nuova Gaza
«Fino al 7 ottobre non avevo in mente nessun’idea di nuovi insediamenti a Gaza. Nel
2005, dopo il disimpegno, una parte di me ha pensato: abbiamo fallito, e per molti
anni per me le porte delle ambizioni su quel territorio si sono chiuse. Mi dicevo,
arriverà il momento, torneremo. Ora quel momento è arrivato».
Le mappe che mostra nel suo studio sono le stesse mostrate durante la marcia, l’idea
del giorno dopo. Ricostruire l’area di Gush Katif e ricostruire tutta la Striscia «bella
come Haifa».
Weiss ha già una lista di nomi di decine di famiglie che le chiedono un pezzo di
terreno sul mare, per la qualità della sabbia soprattutto «la sabbia dorata di Gaza».
«Abbiamo un architetto che sta preparando dei rendering per vedere come sarà: bei
quartieri, quartieri anche turistici e poi delle attrazioni certo. Ho un piano chiaro,
specifico, immediato: prendere la Striscia, dividerla in lotti e darli ai soldati che
hanno combattuto la guerra, ai feriti, alle loro famiglie e consentire loro di costruire

le loro nuove case. Chi vuole andarsene che se ne vada ora. Gli arabi non resteranno a
Gaza. Punto. Questa volta è finita. Il prossimo passo è che gli ebrei vadano là».
L’idea che la sua nuova Gaza possa nascere sulle macerie di questa guerra, su decine
di migliaia di morti non la scompone. Pensa che lo stesso sia stato fatto a Dresda, e
Hiroshima e Nagasaki «posti – dice – che sono stati distrutti e poi sono stati
ricostruiti da persone normali».
Non la scompongono neppure le manifestazioni di protesta che ogni sabato a Tel
Aviv chiedono le dimissioni del primo ministro Netanyahu. Daniella Weiss non vuole
portare a sé quei cittadini, non vuole convincerli che sia giusto reinsediare Gaza.
Pensa che oggi la sua missione sia rendere più forti i giovani che marciano a Sderot
per tornare a Gaza. Lo hanno fatto con lei quando viveva in una tenda prima e in un
container poi, ora tocca a lei guidare i nuovi coloni.
«Quando al posto di questa casa c’era una tenda, quando eravamo in cento e non in
cinquemila in questo insediamento, nessuno immaginava che saremmo diventati 700
mila in Giudea e Samaria. Eppure ora ci siamo. Perciò continuassero pure a
manifestare a Tel Aviv, o nelle università americane. Intanto noi continuiamo a
educare i più giovani al sogno di Gaza. Passo dopo passo lo stiamo già facendo. È un
lavoro psicologico insieme all’influenza politica. Arriverà, molto prima di quello che
la gran parte delle persone pensa». —

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