La Giornata mondiale dell’Africa si celebra il 25 maggio, anniversario della fondazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) avvenuta ad Addis Abeba in Etiopia, nel 1963.

L’OUA, poi denominata Unione Africana (UA), aveva come obiettivo di rafforzare i legami tra i 32 stati che avevano appena raggiunto l’indipendenza, dopo lunghi anni di lotte di liberazione nazionale contro i colonialisti europei, e di incoraggiare la decolonizzazione degli stati allora sotto il giogo di potenze coloniali (Angola, Mozambico, Sahara Occidentale) o dominati da minoranze bianche razziste con i regimi d’Apartheid (Rodesia e Sudafrica).

A 58 anni dalla fondazione dell’OUA, l’Africa è ancora sotto il controllo, diretto o indiretto, delle potenze imperialiste. Il continente più ricco di risorse ha la popolazione più povera del mondo ed è attraversato da guerre e conflitti, dominato in prevalenza da dittatori al servizio dei loro padroni ex colonialisti.

Uno degli ultimi confilitti è quello nella provincia Tigray in Etiopia.

Dal sito “Focus on Africa”, riprendiamo questo articolo di Fulvio Beltrami dal titolo:

Etiopia, l’unico giornalista buono è quello morto

Nella guerra in Vietnam i soldati americani sotto stress a causa della incapacità di vincere un esercito di contadini (i Vietcong), traumatizzati dai crimini di guerra da loro stessi compiuti sulla popolazione civile e intossicati di droghe largamente diffuse dai loro superiori, si sentivano spesso ripetere da Generali e Colonelli: “L’unico Vietcong buono è quello morto”.
A distanza di 40 anni il governo centrale di Addis Ababa sembra aver adottato questa parola d’ordine, contestualizzandola: “L’unico giornalista buono è quello morto”. I giornalisti indipendenti etiopi e quelli stranieri rappresentano un serio problema per la rozza propaganda di Stato, molto probabilmente suggerita da esperti cinesi offerti da Pechino, che aiuta anche il governo nello spionaggio delle comunicazioni dei suoi cittadini.
Parallelamente alla guerra sui fronti del Tigray e Oromia esiste una guerra di comunicazione combattuta dal regime di Abiy Ahmed Ali senza esclusione di colpi e senza rimorsi. Due le direttive sembrano affiorare dai numerosi casi fino ad ora registrati di violenze sui giornalisti. Se il giornalista è etiope, nelle migliori delle ipotesi rischia di marcire in prigione. Spesso si evita la sua ingombrante presenza nelle patrie galere, abbattendolo. Se il giornalista è straniero viene espulso senza troppi complimenti, in quanto il suo assassinio potrebbe attirare complicazioni internazionali.
La sera del 9 maggio nella città di Dembi Dollo, Oromia, il giornalista e coordinatore del Oromia Boradcasting Network: Sisay Fida, è stato ‘abbattuto’ mentre stava ritornando a casa da un matrimonio. Stava seguendo il conflitto in Oromia per conto della BBC, Deutsche Welle e di Voice of America, l’emittente americana finanziata dal Congresso Statunitense.
A seguito dell’intervento di questi tre importanti media internazionali il governo ha prontamente creato una verità di Stato. Sisay è stato ucciso da uno squadrone della morte dell’Oromo Liberation Army (OLA) denominato Aba Torbe, afferma Ahmed Yassin, il vicedirettore della sicurezza della zona Oromo di West Wellegala, la cui giurisdizione include Dembi Dollo. Per rafforzare questa verità di Stato, Yassin si è spinto ad informare Voice of America che Sisay in realtà lavorava per il governo con copertura di giornalista. Scoperto dai guerriglieri OLA è stato ucciso.
Il portavoce dell’OLA: Bilisuma Gutta, ha negato qualsiasi coinvolgimento del movimento armato di liberazione Oromo come qualsiasi collegamento ad Aba Torbe, un oscuro squadrone della morte dietro al quale si nasconderebbero burattinai ancora avvolti nel mistero.
“L’uccisione del giornalista etiope Sisay Fida non solo fa tacere una voce, ma invia anche un messaggio devastante sui pericoli che corrono i giornalisti in tutto il paese”, ha detto il rappresentante del Comitato di Protezione dei Giornalisti (CPJ) per l’Africa subsahariana, Muthoki Mumo. “Le autorità possono rassicurare i giornalisti che lavorano in Etiopia della loro sicurezza conducendo un’indagine credibile sull’omicidio di Sisay e offrendo giustizia attraverso un processo equo e trasparente”.
Un collega di Sisay, che ha parlato con CPJ a condizione di anonimato citando preoccupazioni per la sicurezza, ha detto che il giornalista aveva ricevuto minacce di morte anonime sul suo telefono a causa delle sue indagini in Oromia.
A cosa stava lavorando il collega giornalista?
Secondo le informazioni disponibili Sisay stava indagando sul conflitto in Oromia che il governo cerca di tenere segreto, come se non esistesse. In particolare su alcuni crimini di guerra commessi da truppe eritree e federali nella zona di Guji, oggetto di un recente rapporto pubblicato da UNOCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs). Un’indagine delicata e non certo apprezzata dal governo Abiy in quanto il conflitto in Oromia vede la massiccia presenza di soldati eritrei: almeno due divisioni di fanteria e una motorizzata.
Il conflitto nell’area è particolarmente aspro e l’accesso umanitario molto limitato dalle autorità etiopi. Poche ONG rimangono operative nella zona. Molte si sono ritirate per problemi di sicurezza. Dallo scorso marzo vari operatori umanitari sono stati soggetti a intimidazioni, aggressioni fisiche e detenuti dalle forze di sicurezza nonché da elementi militari non identificati. Inoltre, alcune ONG internazionali hanno denunciato l’appropriazione indebita dei loro beni e veicoli da parte delle parti in conflitto, compromettendo la loro capacità di operare in un ambiente così instabile in modo indipendente e neutrale.
Servizi come salute, acqua e istruzione sono stati in gran parte ridotti, con dozzine di centri sanitari e scuole vandalizzati. I trasportatori privati sono riluttanti a fornire servizi di trasporto merci alle aree “calde” a causa di problemi di sicurezza. In una recente missione dell’OCHA nell’area, i partner hanno riferito che le parti in conflitto avevano occupato un numero non confermato di centri sanitari e scuole. La violenza dei combattimenti tra i partigiani dell’OLA, le truppe federali e i soldati eritrei ha costretto gli sfollati interni a spostarsi da un luogo all’altro più volte e li ha esposti a maggiori rischi di protezione. Al momento si contano oltre 80.000 sfollati Oromo.
Uno dei colleghi del giornalista etiope ucciso ha aggiunto una preziosa informazione per comprendere il movente di questo assassinio. Sisay stava lavorando anche su una indagine riguardante questo misterioso squadrone della morte Aba Torbe che il governo afferma essere collegato ai “terroristi” dell’Oromo Liberation Army.
Sisay è il secondo giornalista ucciso in Etiopia quest’anno, dopo l’omicidio di gennaio di Dawit Kebede Araya a Mekelle, la capitale del Tigray. Nostre fonti in loco esprimono il timore che altri giornalisti meno conosciuti siano stati uccisi ma la loro morte non riportata.
Miglior sorte è stata riservata al corrispondente del New York Times: Simon Marks che da anni vive in Etiopia. In un primo momento le autorità etiopi gli hanno revocato la licenza giornalistica. Dopo che Marks ha reso noto questo pesante atto di censura, che è diventato una notizia virale sui media internazionali e sui socials, le autorità di Addis Ababa lo hanno brutalmente espulso dal paese come vendetta. Marks non è stato arrestato o abbattuto solo perché di nazionalità occidentale: Irlandese.
La decisione di cacciare Simon Marks ha suscitato la rapida condanna di Reporter senza frontiere, che ha affermato che è “la prima volta che un giornalista straniero viene espulso dal paese” sotto il primo ministro Abiy Ahmed. “È allarmante che il governo dell’Etiopia abbia trattato il giornalista, Simon Marks, come un criminale, espellendolo dal paese senza nemmeno lasciarlo tornare a casa per farsi cambiare i vestiti o il suo passaporto”, ha citato il quotidiano statunitense New York Times.
Stando al racconto fornito dallo stesso Marks gli ufficiali dell’immigrazione etiope lo hanno arrestato comunicandogli il mandato di espulsione, portandolo direttamente all’aeroporto internazionale senza dargli la possibilità di tornare a casa per prendere qualche vestito, i suoi documenti di identità, attrezzature di lavoro e salutare sua moglie e il figlio di 2 anni. Simon Marks stava indagando sui crimini contro l’umanità in Tigray.
Negli ultimi mesi i giornalisti particolarmente colpiti lavoravano per l’agenzia stampa francese AFP, Reuters, BBC e Financial Times. Gli unici giornalisti che possono liberamente esercitare la loro professione in Etiopia sono quelli della agenzia stampa cinese in lingua inglese Xinhua e dell’agenzia stampa turca Anadolu Agency. Le due agenzie sono note per trasmettere propaganda politica ricevendo precise direttrici dai regimi totalitari al potere a Pechino e Ankara. Per quanto riguarda l’Etiopia le direttive governative seguite da Xinhua e Anadolu Agency si basano su quattro pilastri di disinformazione.
La guerra in Tigray è terminata il 28 novembre 2020 (come annunicò il Premier Abiy) e al presente vi sono solo delle scaramucce e qualche sacca di resistenza del TDF – TPLF.
Nessun soldato eritreo è presente in Etiopia.
I crimini contro l’umanità sono tutte fake news commissionate dalle potenze occidentali nel tentativo di distruggere la sovranità dell’Etiopia.
La guerra in Oromia non esiste mentre i conflitti etnici e frontalieri negli Stati regione di Benishangul-Gumuz, Afar e Somali Region vanno presentati come “piccole diatribe locali”.
I corrispondenti e giornalisti cinesi e turchi sono i benvenuti in Etiopia in quanto il loro lavoro consiste nel distorcere l’informazione e creare delle narrative su quanto accade nel Paese che facciano l’interesse di una sola parte: il governo di Abiy Ahmed Ali. Un fenomeno comune dei giornalisti collusi con i regimi dispotici, ampiamente analizzato dal giornalista italiano Paolo Barnard.
Xinhua e Anadolu Agency stanno parallelamente rendendo supporto politico al regime razziale nazista della giunta militare illegalmente al potere in Burundi. Le direttive ricevute sono pressoché identiche a quelle riguardanti l’Etiopia. Questo fa pensare che i due regimi totalitari abbiano messo a punto una comune strategia di comunicazione a favore dei regimi autoritari africani loro alleati.
Fonti locali affermano che il governo centrale etiope attraverso il suo network di spionaggio in occidente stia creando una lista nera di tutti i giornalisti o attivisti dei diritti umani che diffondono “notizie faziose sull’Etiopia, politicamente mirate contro il governo democratico e favore dei terroristi TPLF e OLF/OLA”. Al momento non si ha alcuna prova per convalidare questa informazione che, però, acquista credibilità visto la caccia ai giornalisti attuata dal governo di Addis Ababa dal 03 novembre 2020.
Per il regime dispotico del “riformatore” e “democratico” Premio Nobel per la Pace Abiy è di vitale importanza difendersi da noi giornalisti indipendenti in quanto: “C’è da avere più paura di tre giornali ostili che di mille baionette”, diceva Napoleone Bonaparte.

Si ringrazia la collega Antoenlla Napoli, direttrice del sito, per l’autorizzazione alla pubblicazione.

Link: https://www.focusonafrica.info/etiopia-lunico-giornalista-buono-e-quello-morto/

Oggi, Focus on Africa organizza un convegno online dalle 16 alle 17 a questo link: https://meet.jit.si/BoundProfessorsLeanLovingly

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