Per non dimenticare Sabra e Chatila

di Dirar Tafeche

“Io sono stato nel Libano. Ho visto i cimiteri di Sabra e Chatila. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quell’orrendo massacro. Il responsabile dell’orrendo massacro è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro compiuto. È un responsabile cui

dovrebbe essere dato il bando dalla società». Questa è la testimonianza del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, uno dei più grandi partigiani italiani, in occasione del messaggio di Capodanno del 31 dicembre 1982.

A 39 anni di distanza, invece, i colpevoli del brutale eccidio rimangono ancora impuniti e le vittime, i palestinesi, ancora senza pace e senza giustizia.

Già la sera del 15 settembre 1982 circolavano voci di un massacro nei campi profughi palestinesi a Beirut. Il giorno successivo arriva la conferma. Seguono molti giorni di racconti angosciosi dell’eccidio. Radio, televisione e tutta la stampa mondiale ponevano domande ed interrogativi in cerca del colpevole: Israele o gli alleati di Israele? Senza dubbio, entrambi, i primi sono la mente e i secondi la mano.

“Dieci giorni dopo la dichiarazione di indipendenza di Israele, David Ben Gurion, nel 24 maggio 1948, ha detto, in una riunione del personale generale della dell’Haganah: “Dobbiamo distruggere immediatamente Ramle e Lod. … Dobbiamo organizzare la brigata Eliyahu per dirigerla contro Jenin, in preparazione per l’occupazione la valle del Giordano. … Maklef ha bisogno di ricevere rinforzi e il suo ruolo è la conquista del sud del Libano, con i bombardamenti di Tiro, Sidone e Beirut. … Yigal Allon deve attaccare la Siria da est e da nord. … Dobbiamo stabilire uno Stato cristiano [in Libano] il cui confine meridionale sarà il fiume Litani.

Noi possiamo stringere un’alleanza con loro. Quando si spezza la forza della [Legione Araba] fate saltare Amman eliminando la Transgiordania, e poi la Siria cade. E se l’Egitto osa ancora di combattere, bombarderemo Port Said, Alessandria e il Cairo”.

Sì, era Ben-Gurion, non Napoleone Bonaparte. Allo stesso tempo ha promesso: “Questo è il modo in cui si concluderà la guerra – e fare i conti per i nostri antenati con l’Egitto, l’Assiria e Aramea” *1

Queste “promesse” sono state soddisfatte dopo qualche tempo: nelle guerre del ’67, occupando il Golan e la Cisgiordania e più tardi, con l’occupazione del Libano dal 1978 al 2000.

L’invasione israeliana del Libano inizia il 6 giugno 1982 con l’obbiettivo dichiarato di allontanare dalle proprie frontiere le forze palestinesi dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina). Il Ministro della Difesa israeliana, Ariel Sharon, opta di perseguitare i combattenti palestinesi per liquidarli e cacciarli via da tutto il territorio libanese. Dopo lunghe trattative l’OLP, all’inizio di luglio, decide di lasciare il Libano a condizione che sia presente una forza di protezione internazionale, a garanzia e sicurezza delle migliaia di civili palestinesi che altrimenti sarebbero rimasti senza difesa. Il 25 agosto, sbarcano in Libano le Forze Multinazionali composte da militari degli Stati Uniti, Francia e Italia. Nei primi giorni di settembre, un po’ alla volta, i combattenti palestinesi partono diretti in diversi Stati arabi.

Nel Libano ci sono decine di campi profughi, nei quali vivono migliaia di rifugiati palestinesi dal 1948. Ma contro ogni accordo firmato, le Forze Multinazionali, l’11 settembre si ritirano in anticipo dal Libano, lasciando i civili palestinesi in balia dell’esercito israeliano e dei falangisti. A questo punto i campi profughi sono senza difesa: Sharon ha accerchiato tutta Beirut Ovest con il pretesto che l’esercito del Governo libanese

non è in grado di controllare i “terroristi palestinesi” all’interno dei campi.

Un mese prima dell’invasione del Libano, precisamente l’8 agosto 1982, il Primo Ministro Begin, uno degli autori del massacro di Deir Yassin nel 1948 e Premio Nobel per la Pace nel 1978, in un discorso ai laureati del National Defense College, illustra l’intervento con la distruzione dell’OLP. Poi elenca le guerre che Israele ha combattuto dal 1948, affermando che alcune sono state guerre senza alternative, altre sono definite “sante”:

“Operazione Pace in Galilea non è un’operazione militare derivante dalla mancanza di una alternativa. I terroristi non minacciavano l’esistenza dello Stato di Israele; hanno “solo” minacciato la vita dei cittadini di Israele e i membri del popolo ebraico. Ci sono quelli che trovano un difetto con la seconda parte di questa frase. Se non ci fosse alcun pericolo per l’esistenza dello Stato, perché sei andato in guerra ?” *2

Guerra alternativa o santa che sia, il Libano, e non solo, è sempre stato nel mirino di Israele fin del primo Congresso Sionista a Basilea, nel 1897 dove, alla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919, è stata presentata una chiara mappa per la creazione dello Stato di Israele, dalla quale emerge l’obbiettivo di controllo totale delle fonti idriche che alimentano il Lago di Tiberiade e il Fiume Giordano. *3

Parlare di vendetta, eccidio, massacro … non è sufficiente per descrivere le immagini di cadaveri di madri, padri, figli, neonati stesi a terra, ormai gonfi e putridi, lasciati a decomporsi sotto il sole cocente. Dappertutto ci sono cumoli di corpi gettati in fosse comuni e coperti di terra dai quali, qua e là, spuntano gambe, teste e mani. Inoltre, l’evento non racconta il panico e la paura per la vita dei superstiti, che hanno vissuto nel terrore per quattro giorni e quattro notti, mentre i soldati israeliani appostati sui tetti delle case vicine, guardano le

scene di disperazione con i binocoli.

Quando i campi profughi diventano accessibili, il primo ad entrare per raccontare la mattanza è Robert Fisk, corrispondente di guerra estero dei quotidiani londinesi, The Independent e The Times. Egli descrive ai lettori

le atrocità che ha visto con agghiacciante testimonianza:

“Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l’odore. Grosse come mosconi, all’inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti.” … Erano servizievoli quelle mosche, costituivano il nostro unico legame fisico con le vittime che ci erano intorno, ricordandoci che c’è vita anche nella morte”. *4

Il 14 settembre viene assassinato il neo eletto Presidente del Libano, Bashir Gemaiel, capo delle Falangi Libanesi, un partito nazionalista di destra e alleato di Israele. Ma mentre si cercano gli assassini di Gemaiel, i palestinesi, indifesi e disarmati, colpevoli o meno, devono pagare il prezzo. Nei campi profughi, assediati dall’esercito israeliano, entrano le milizie falangiste.

Quanto segue è scritto nell’ampio articolo di Thomas L. Friedman, del 26 settembre 1982 *5

Mercoledì 15 settembre.

“Alle 3.30 del mattino, si è avuto un incontro tra il Capo di Stato Maggiore Gen. Rafael Eytan e lo stato maggiore della milizia falangista. All’alba dello stesso giorno, le truppe israeliane trasportate da aerei, sono atterrate all’aeroporto di Beirut. Carri armati e mezzi corazzati sono presenti ovunque”.

Giovedì 16 settembre.

“L’esercito israeliano ha sigillato l’intera area intorno ai campi di Sabra e Shatila. Nessuno poteva entrare o uscire. Un portavoce di East Beirut per l’esercito israeliano, formalmente noto come Israel Defense Forces, quel giorno ha rilasciato la seguente dichiarazione: “L’I.D.F. controlla tutti i punti chiave di Beirut. I campi profughi che ospitano concentrazioni terroristiche rimangono circondati e chiusi. L’I.D.F. invita i cittadini a tornare alle normali attività e tutti i terroristi ed altre persone armate a deporre le armi ”.

“La scena è stata resa ancora più spaventosa, hanno detto i medici, dai razzi di illuminazione, fatti cadere da aerei israeliani, che venivano lanciati dalle truppe israeliane sui campi profughi” … “Era come uno stadio sportivo illuminato per una partita di calcio”

Venerdì, 16 settembre.

“Le prove disponibili suggeriscono che l’operazione non è stata interrotta venerdì, ma che potrebbe essere stata leggermente rallentata. Gli ufficiali israeliani di East Beirut hanno detto che quello che è successo alla riunione del venerdì, alle 4:30, è stato che i falangisti hanno avvisato gli israeliani di aver bisogno di più tempo per “ripulire” l’area”.

“Quello che Sharon ha descritto al Parlamento come un processo di “controllo e sgombero” dei campi profughi era, ha detto, un lavoro che doveva essere svolto dai falangisti o dall’esercito libanese”.

Sabato, 17 settembre.

“Alle 9 del mattino, un membro dello staff dell’Ambasciata degli Stati Uniti è entrato a Shatila, affermando che un massacro aveva avuto luogo e ha informato i suoi superiori”.

“Molti edifici furono demoliti con i corpi al loro interno. Alcuni corpi furono coperti da enormi cataste di sabbia, con braccia e gambe che sporgevano in alcuni punti. In altre aree, i miliziani hanno fatto mucchi di macerie e lamine di ferro ondulato per nascondere i cadaveri”.

Non voglio aggiungere altro. Le agghiaccianti testimonianze dell’orrendo massacro sono ampiamente descritte nei due articoli sopra citati, di Fisk e Friedman, articoli che il lettore potrà leggere per intero, nei riferimenti qui sotto segnalati a margine.

In Israele, il 28 settembre, è stata istituita la Commessione Kahan per indagare sul massacro. Dopo quattro mesi, la commissione ha concluso che i comandi dell’IDF avrebbero dovuto prevedere l’assalto dei falangisti come probabile. Sharon s’è dimesso da Ministro della Difesa ma rimase nel gabinetto governativo.

L’eccidio di Sabra e Chatila è ancora senza colpevoli e condanne. Mai giudicato e processato da un tribunale internazionale e soprattutto, mai dimenticato. Nulla potrà cancellare dalla memoria i volti di uomini, donne e bambini che rimarranno scolpiti nella storia e che dopo quarant’anni, non è stata pronunciata giustizia per loro.

Anzi, Sharon viene eletto Primo Ministro nel 2001 e, nel marzo 2002 insanguina ancora la sua mano con il massacro a Jenin, nel mese di marzo. Ad aprile, Sharon in una riunione con alti ufficiali e soldati, ha ringraziato tutti per il lavoro vittoriosamente fatto nella città di Jenin.

In Italia, per giorni e settimane, tutte le notizie e dibattiti erano centrati su Sabra e Chatila. Grazie alla tenacia di Stefano Chiarini e suoi compagni nel “Comitato per Sabra e Chatila”, i mass media hanno dato ampio eco alla carneficina.

Io, in qui giorni, come molti compagni palestinesi e italiani, balzavo da un dibattito a un altro. Uno in particolare è stato fatto in un liceo di Piazza Vetra, a Milano (non ricordo il nome ma forse l’Istituto Superiore

Carlo Cattaneo). Ero con Mario Capanna, allora segretario del partito Democrazia Proletaria. La grande aula era affollata e gli studenti in silenzio, in attesa degli oratori.

Capanna ha parlato del ruolo dell’Italia e dell’Occidente in Medio Oriente. La mia relazione invece, era centrata sui campi profughi; quanti sono, chi li abitava e come era la loro misera vita alla mercé dell’UNRWA, agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati Palestinesi. Alla fine del mio discorso, uno studente si rivolge a me per chiedermi quale sia il mio sentimento per il massacro di Sabra e Chatila. In quell’attimo, il silenzio e l’emozione hanno attanagliato i miei pensieri che scorrevano la scena di un uomo anziano, con il suo bastone

a fianco, steso a terra senza vita. Era vestito con abiti tipicamente palestinesi che anche mio padre indossava.

Ecco, quell’uomo poteva essere mio padre. Per questo motivo, era molto difficile esprimere allo studente un sentimento così profondo. Allora, ho tirato fuori dalla mia borsa un disegno che mi è stato regalato, per l’occasione, da un compagno del Partito Comunista a Cremona con la scritta “Date fiori ai ribelli caduti con lo sguardo rivolto all’aurora” e l’ho mostrato a tutti.

Qualche giorno dopo, il disegno, accompagnato da una poesia di Mahmud Darwish come simbolo del conflitto tra l’essere esiliato dalla Palestina e l’amore per Rita, una ragazza ebrea, è stato stampato in una cartolina

pieghevole in migliaia di coppie a nome del GUPS (Unione Generale Studenti Palestinesi) di cui ero membro.

Oggi, che dire della mano insanguinata di Israele nei territori occupati? Che dire dei soldati che incidono la “X” sul calcio del loro fucile per indicare orgogliosamente il numero di palestinesi uccisi? Che dire dei coloni che tagliano e bruciano gli uliveti, che appendono all’albero un ragazzo di 15 anni per torturarlo …

Dirar Tafeche

1- Haaretz, settembre 2016, titolo: Zionism Has Reached the End of the Road

-2 Dal sito mfa gov.il, titolo: 55 Address by Prime Minister Begin at the National Defense College- 8 August 1982

3- Mappa da: jewshvirtualliberary.org ZionistPalestine1919. Da considerare che dal Libano, Siria e Giordani, Israele dirotta nel Lago

di Tiberiade, due terzi (2/3) del proprio fabbisogno idrico.

4- Il testo originale è nel libro “Il martirio di una nazione. Il Libano in guerra” di Robert Fisk. Invece l’articolo “furono le mosche a

farcelo capire” è citato dal Corriere della Sera il 16/9/2016.

5- articolo di Di Thomas L. Friedman, New York Times. Titolo: “Il massacro di Beirut: i quattro giorni”.

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