a cura di Francesca Martino

In questa rubrica riprendiamo in sintesi, ma fedelmente, opinioni, commenti ed editoriali apparsi sulla stampa araba, che valutiamo siano di un certo interesse per il lettore italiano.

La pubblicazione non significa affatto la condivisione delle idee espresse.

Torniamo a Taha Hussein!

Abdallah al-Sennawy – Shourouknews (28/11/2021)

‘’[In Egitto] si conferma ancora una volta l’urgenza di un nuovo progetto culturale, che illumini i sentieri bui con innovazione, creatività e apertura ai tempi che corrono, ribadendo le libertà pubbliche’’.

La querelle scatenata dall’intento di rappresentare La sgualdrina timorata di Jean-Paul Sartre sta facendo riflettere molti intellettuali, tra cui Abdallah al-Sennawy, direttore del settimanale egiziano Al Arabi. Chi accusa la pièce di offendere la morale pubblica e i valori della società sembra ignorarne non solo il contenuto, ma anche il fatto che sia già stata rappresentata in Egitto sessant’anni fa, senza sollevare polemiche. ‘’In materia di libertà culturali, è come se ci trovassimo di fronte a un pesante arretramento rispetto all’eredità degli anni ’60’’, prosegue al-Sennawy.

Il declino culturale è stato l’altro volto del colpo di stato, politico e sociale, contro la rivoluzione del luglio 1952. All’epoca, spiccavano sulla scena culturale tre grandi scrittori: Taha Hussein, Abbas el-Aqqad e Tawfiq al-Hakim. Nelle sue linee direttive, la cosiddetta rivoluzione di luglio si è affidata sostanzialmente al progetto ‘’Taha Hussein’’ per quanto riguarda l’accesso gratuito all’istruzione e il peso dato alla cultura. Non a caso, la maggior parte dei responsabili culturali degli anni ’50 e ’60 erano stati alunni del grande decano della letteratura araba, simbolo di illuminismo e spirito critico. Tuttavia, le tendenze nei circoli del movimento (dei liberi ufficiali, NdR) sembravano altre, perché la rivoluzione guardava a est e al mondo arabo, mentre Taha Hussein guardava a ovest, attraverso il Mediteranno e l’Europa.

Oggi, ‘’tornare a Taha Hussein è necessario, per riflettere e apprendere, ma non basta per avanzare verso il futuro sulla base di nuove credenziali. Se non c’è un nuovo progetto culturale che sia consapevole delle realtà attuali e dei bisogni della società, continueremo a girare a vuoto tra ignoranza e abbrutimento’’.

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La pazienza (in)finita dello Yemen

Abdelbary Attwan – Raialyoum (23/11/2021)

Secondo il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNPD) pubblicato il 23 novembre, il conflitto in Yemen avrà provocato 377.000 vittime entro la fine del 2021. Di queste, il 40% è attribuibile a morti dirette e il 60% a morti indirette dovute a effetti collaterali, in primis fame e malattie.

Dei numeri scioccanti, che hanno suscitato nel direttore del quotidiano online Raialyoum, Abdelbary Attwan, una riflessione sull’indole del popolo yemenita. Riprendendo le parole dell’ex primo ministro Abdel Karim al-Iryani, Attwan scrive che ‘’uno yemenita, indipendentemente dalla sua appartenenza tribale o ideologica, non dimentica la sua vendetta, né perdona i suoi nemici; può rimandare la vendetta ma non ci rinuncerà, così come non rinuncerà ai suoi diritti né mai si arrenderà. È scritto nel suo DNA’’.

A rendere ancora più scioccanti e dolorosi i numeri succitati è il disinteresse mostrato dal resto del mondo e dagli Stati arabi, i quali, anzi, spesso ‘’tendono a sostenere l’aggressione (dell’Arabia Saudita, NdR), per avidità di denaro o per paura di chi lo possiede e dell’enorme influenza che ha sui governi’’.

‘’Gli yemeniti – prosegue Attwan – sono molto pazienti ma finiscono per fare del male a chi li aggredisce, li umilia e viola la loro patria’’, come d’altronde testimonia la storia delle invasioni del paese. ‘’Un esponente del governo di Sanaa mi ha confidato che la guerra, che ormai va avanti da sette anni, non finirà con la presa di Ma’arib da parte degli Huthi e il controllo di tutte le province dello Yemen settentrionale, ma continuerà per vendicare a uno a uno tutti i morti e i feriti, riappropriarsi dei territori usurpati a nord (due province di confine occupate dai sauditi nella guerra del 1934. NdR) e ottenere una compensazione totale, fino alla rinascita del Grande Yemen […] Chi vivrà vedrà”.   

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