Questa è la sesta puntata della rubrica “Finestra sulle Rive Arabe”, a cura di un gruppo di arabisti. Il gruppo RiveArabe (www.rivearabe.com) è un sodalizio di studiosi e cultori del mondo arabo. Il coordinamento del lavoro tra il gruppo RiveArabe e la redazione Anbamed è a cura della professora Jolanda Guardi. 

Alla (ri)scoperta del romanzo marocchino

di Jolanda Guardi

Il romanzo marocchino in lingua araba, poco conosciuto in Italia, merita attenzione per i differenti discorsi che ha intessuto e intesse con la storia del paese e con le dinamiche sociali che, nel corso degli anni, lo hanno attraversato. Anche per il Marocco, come per altri paesi del Nord Africa, vale  il discorso sull’uso di lingue diverse in letteratura, pur se il rapporto fra le due lingue principali – l’arabo e il francese – in cui questa si esprime è originale, in conseguenza del diverso rapporto che il paese ha avuto con la Francia. Ciò naturalmente non significa che il nazionalismo marocchino non si sia posto il problema dell’arabizzazione né che la Francia abbia avuto un atteggiamento più blando nel suo progetto di assimilazione culturale coloniale; basti pensare che all’indomani dell’indipendenza del paese (1956) solo il 10% dei bambini marocchini frequentava la scuola e solo il 5% (solamente maschi) frequentava le secondarie. Nel 1963 lo stato istituisce l’istruzione obbligatoria dai sei ai tredici anni e certo questo ha contribuito, unitamente a un progetto per la realizzazione di libri di testo specifici per l’apprendimento della lingua araba, a un rafforzamento delle competenze in questa lingua che ha avuto riflessi anche nello sviluppo della narrativa più recente.

Il romanzo marocchino in lingua araba gode attualmente di ottima salute, pur se resta poco studiato e apprezzato al di fuori del paese. Gli studiosi marocchini, nel percorso di creazione di un canone nazionale, rifiutano, a ragione, la teoria che vuole che il romanzo marocchino contemporaneo si sia sviluppato solo a partire dal contatto con l’occidente e propongono di sfidare questo atteggiamento per indagare la letteratura marocchina tenendo conto anche degli apporti interni della cultura araba classica e considerando il romanzo come la forma ibrida per eccellenza, nella quale convergono diverse forme letterarie.

La prima generazione di scrittori contemporanei è stata quella che ha vissuto e scritto sotto il protettorato e contribuito all’indipendenza; le figure più importanti nel campo del romanzo sono Muḥammad Benbrahim, ‘Abd Al-Karīm Ghallāb, e Muḥammad Mukhtār Sūssī, purtroppo non tradotti in italiano.

Muḥammad Choukri (1935-2003) è l’autore de Il pane nudo (1973), importante nel panorama della letteratura in lingua araba per i temi trattati per la prima volta in questa lingua in modo diretto. Il romanzo, inizialmente proibito dal governo, racconta l’infanzia e la giovinezza dell’autore senza nessuna autocensura e anzi con una certa tendenza al compiacimento nelle descrizioni di scene violente o legate all’ambito sessuale. Il tema principale è la rivolta del giovane protagonista contro il padre, un uomo violento e ingiusto, e contro una società all’epoca, dominata dalla politica coloniale, che lascia nell’ignoranza i suoi figli e ha il grande merito di mettere a nudo la condizione di povertà in cui vivono i marocchini sotto il colonialismo; non è un caso che la narrazione termini con il protagonista che, in prigione, decide di imparare a leggere e scrivere. Choukri adotta una sorta di scrittura “bianca”, senza retorica né abbellimenti, lontano da qualunque cliché letterario e apre al romanzo marocchino in lingua araba la strada per il suo sviluppo ulteriore. Sempre tra gli autori più interessanti, è possibile annoverare Abdallah Laroui, classe 1933, che nella scrittura letteraria predilige la lingua araba per romanzi a sfondo eminentemente storico.

Alla stessa generazione appartiene Muḥammad Barrāda (1935-) uno degli autori forse più noti in Europa, che ripercorre anch’egli nelle sue opere il malessere dell’intellettuale marocchino, in particolare ne Il gioco dell’oblio (1987- edizione italiana Mesogea) o Come un’estate che non tornerà (1999).

In entrambi i romanzi gioca un ruolo centrale la memoria; attraverso le storie dei suoi personaggi, infatti, Barrāda ripercorre gli anni giovanili e la sua formazione politica, intellettuale e anche sentimentale. Ne Il gioco dell’oblio, che presenta un ritratto stratificato della società marocchina dal Protettorato francese agli anni Ottanta, anche la struttura romanzesca si rivela piuttosto interessante. A intervalli regolari, infatti, all’interno del testo interviene un personaggio chiamato rāwī al-ruwāt (narratore dei narratori, Ur-narratore) che interroga lo scrittore su cosa debba fare nel prosieguo della storia; in tal modo Barrāda provoca da un lato un effetto di straniamento nel lettore, che giocoforza diventa consapevole della finzione del testo che sta leggendo e, al contempo, introduce una serie di riflessioni sul ruolo del narratore mettendo in discussione le tecniche narrative stesse.

Lo scrittore marocchino forse più interessante dal punto di vista della quantità di produzione narrativa e dei temi trattati è Muḥammad Zafzāf (1945-2001), purtroppo poco noto al pubblico occidentale. Autore di almeno dodici romanzi, Zafzāf presenta la società marocchina in costante fermento, particolarmente attento alla relazione con il mondo occidentale e ai problemi che i giovani devono affrontare alla ricerca della loro identità e della soluzione ai loro problemi. La caratteristica specifica della prosa di Zafzāf è quella di presentare personaggi calati nella quotidianità e di descrivere anche le situazioni più tragiche sempre con una sottile vena ironica, che rende la lettura delle sue opere particolarmente interessante. Tra i suoi romanzi più noti Al-mar’a wa-l-warda (La donna e la rosa, 1972), L’uovo del gallo (1984) e Al-thal‘ab alladhī yaẓhar wa-yakhtafī (La volpe che compare e scompare, 1985).

Un altro autore di rilievo, più orientato verso il romanzo storico, è Bensalem Himmish, per un certo periodo anche ministro della Cultura, autore sufficientemente prolifico che utilizza i personaggi storici nei suoi romanzi per porre sul tappeto qestioni molto attuali. In Majnūn al-ḥukm (Pazzo di potere, 1994), Ḥimmish, ispirandosi alla vita del califfo fatimide Ḥakīm bi-amr Allah (985-1021), pone la questione, ancor oggi attuale, del potere. Il califfo, noto per il cambiamento da sovrano al servizio della umma nei primi anni di regno per poi diventre un tiranno verso la fine della sua vita, viene descritto dall’autore sottolineandone le caratteristiche più particolari e costruendo un testo che è un’allegoria della sete di potere e della tirannia. Ma il romanzo per cui Ḥimmish è più noto è certamente Il romanzo di Ibn Khaldun (1997), che ripercorre gli ultimi anni di vita di Ibn Khaldūn, narrando il suo arrivo al Cairo, al tempo sotto il potere dei Mamelucchi, il memorabile incontro con Tamerlano e la morte, avvenuta nel 1406. Anche in questo romanzo Himmish, tramite la figura di Ibn Khaldūn, propone una riflessione sul potere e sui rapporti che gli intelletuali intrattengono con esso, il tutto in un affresco che si propone a chi legge come viaggio attraverso i percorsi della cultura maghrebina. Il romanzoha vinto il premio Najib Maḥfūẓ e il premio Al-aṭlas al-kabīr.

Oggi il romanzo marocchino è passato dal concentrarsi sulla povertà, l’analfabetismo e la corruzione, temi del periodo immediatamente successivo all’indipendenza, a una critica diretta o espressa in forma allegorica al sistema politico, cosa che ha causato ad alcuni autori anche la prigione. Quest’ultima situazione ha dato vita a un vero e proprio genere, quello del adab as-sujūn (letteratura dal carcere) nelle cui opere, autobiografiche per lo più, gli autori commentano la loro esperienza politica, rendendo la letteratura di testimonianza una fonte di approcci critici e di analisi della situazione politica. Il periodo compreso tra gli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Novanta in Marocco viene definito con l’espressione Anni di Piombo, per le costanti violazioni dei diritti umani e le incarcerazioni ingiustificate come reazione del regime alle richieste di cambiamento sociale. Numerosi oppositori politici, dissidenti, ma anche intellettuali hanno subito durante questo periodo il carcere, altrettanti sono scomparsi senza che se ne sia più avuta notizia. Tristemente note sono le carceri attive specialmente in quel periodo: Tazmamārt e i centri di tortura come Derb Mulay al-Sharīf o Dār al-Muqrī.

L’esperienza di questo periodo ha lasciato una traccia profonda nella scrittura di coloro che l’hanno subita, attraverso scritture romanzesche di carattere autobiografico come Tazmamārt di Aḥmad Marzūqī, o romanzi di più ampio respiro, come Ogni volta che prendo il volo (2013) di Yousef Fadel che, nonostante sia attivo nel campo del romanzo sin dagli anni Sessanta, ha raggiunto una certa notorietà solo in anni recenti, dopo che nel 2014 proprio questo romanzo è stato inserito nella Shortlist del Booker Prize; nel 2021 il suo ultimo romanzo, Ḥayāt al-farrāshāt (La vita delle farfalle, 2020) è stato inserito nella Longlist dello stesso premio. L’autore, incarcerato proprio negli anni Ottanta a motivo della sua adesione a movimenti di sinistra nel centro di Derb Mulay al-Sharīf, narra nel romanzo la storia di un giovane ufficiale che, avendo partecipato al colpo di stato fallito del 1971, viene arrestato il giorno delle nozze. Per i successivi vent’anni, Zīna, la moglie, percorrerà tutto il Marocco per riuscire a sapere dove è detenuto il marito, rinchiuso in un carcere nel deserto di cui è sconosciuta l’ubicazione. Il merito del romanzo di Fāḍil sta nel soffermarsi sull’impatto che la situazione politica ha sulla vita di chi resta, in questo caso le donne.

Molti autori hanno anche sperimentato nuove forma di scrittura inserendo il portato personale, la quotidianità e il fantastico in strutture narrative all’avanguardia che hanno fatto sì che il romanzo marocchino acquisisse un portato importante fino al conseguimento del Booker Prize nel 2011 dell’opera L’arco e la farfalla (2011) di Mohammed al Achaari, autore che, sebbene abbia anch’egli conosciuto il carcere negli anni Ottanta, ha poi ricoperto la carica di Ministro della Cultura dal 2002 al 2007. Il romanzo ripercorre gli ultimi quarant’anni della storia del Marocco attraverso gli occhi del protagonista, Yūsuf, dalla lotta politica degli anni Settanta allo sviluppo economico, con l’avvento della speculazione edilizia e del turismo, ma anche con le lacerazioni legate agli attentati islamisti; in qualche modo L’arco e la farfalla riprende anche alcuni temi già trattati da altri autori, perché tratta dei movimenti di sinistra degli anni 80 e della disillusione di coloro che vi hanno partecipato e che si sono ormai “integrati” nella classe dirigente, nonché del disagio delle giovani generazioni, strette in un vuoto valoriale e lacerati tra due poli ugualmente attrattivi: l’Occidente e il fondamentalismo religioso.

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