Il 5 e il 6 novembre 2022 si è tenuta a Berlino una conferenza internazionale delle donne curde. E’ stata una grandiosa conferenza internazionale questa “Jin,  Jiyan,  Azadi”,un organismo di donne che stanno tessendo la loro “rete del futuro”.  Una prima conferenza promossa da donne curde si era tenuta nell’ottobre del 2018, “noi come Jin (donne) vi abbiamo gridato che vogliamo la nostra Jiyan (vita) sulla basa della Azadi (libertà)”.

Si è conclusa con successo “Our Revolution: Liberating Life” la seconda International Women’s Conference.

Ecco il primo resoconto della collega Rosella Simone, dell’associazone “Fonti di Pace”, presente alla Conferenza.

Seconda Conferenza Internazionale del network Donne tessendo il futuro 5-6 novembre 2022

Ottocento donne arrivate da quarantuno geografie diverse del pianeta, di generazioni, società, tradizioni, lingue, colori, cosmogonie differenti determinate, tutte insieme, a “rompere le frontiere” e realizzare un progetto grandioso, e tremendamente ambizioso: unirsi nella lotta contro il patriarcato e il neoliberalismo sotto il progetto “Jin Jiyan Azadi”, donna vita libertà. La potente magia della “poesia” lanciata del Movimento delle donne curde. 

Due giorni intensi, senza tregua perché la posto in gioco è ovunque la libertà delle donne, dunque la vita stessa. Tutte convinte che sia il momento di “illuminare l’oscurità creata dal sistema degli uomini” e a impegnarci per costruirne una alternativa. 

Di fronte all’attacco che ormai dilaga in ogni nazione governata dal pensiero maschile, anche se a volte sono delle donne a interpretarlo, “è arrivato il momento di avere una linea strategica e politica comune”. Con queste parole ha aperto le due giornate di impegno e di lotta Meghan Bodette director of research del Kurdish Peace institute e ha continuato affermando, “In questi due giorni di incontri e riunioni formeremo questa volontà e promettiamo di realizzare questa utopia”. 

Affermazioni esaltanti e insieme sconvolgenti che a tutte noi però sono sembrate possibili e concrete.  Follia o potenza dell’energia collettiva del  femminile? Semplicemente la profonda convinzione che o questa rivoluzione delle donne ci sarà o non ci sarà più mondo e che  le donne devono mettere mano al governo della casa comune prima della distruzione totale. Abbiano deciso di organizzarci come umanità senza confini, entusiaste delle nostre differenze che amiamo, che ci arricchiscono, che sollecitano la nostra curiosità e intelligenza. Non vogliamo essere assimilate vogliamo brillare di mille colori e mettere in comune saperi, un patrimonio di lotte che dura da cinquemila anni e la nostra determinazione. 

Il primo giorno è stato dedicato a riconoscere che femminicidi, stupri, carcerazioni, soppressioni di diritti sono in atto ovunque, non importa quale sia il potere, liberista o islamista o “socialista” senza dimenticare le multinazionali, e che di fronte a un pianeta messo a ferro e fuoco per decidere che dovrà governare il mondo tra gli Stati uniti d’America e la Cina senza chiedere ai popoli cosa ne pensino a noi non resta che impegnarci per creare una alternativa alla guerra. 

Il secondo giorno è stata dedicato a come fare a distruggere i multiformi attacchi del patriarcato, a come costruire una organizzazione femminile sovranazionale e il Confederalismo democratico di tutte le donne del mondo. 

Un progetto così ambizioso che adesso qui sola mentre scrivo mi stordisce. E’ il delirio dì onnipotenza della madre? Mi guardo attorno e vedo un mondo diviso, la solitudine della metropoli, sento la mia debolezza, individua senza potere nel mondo delle merci, penso ai quattrocento conflitti in atto oggi nel mondo, ai 340 manifestanti uccisi in Iran, alla richiesta dei parlamentari di quel paese di comminare la pena capitale ai manifestanti arrestati, alle prigioniere politiche incarcerate dal Nicaragua all’Afghanistan e il coraggio vacilla di fronte al compito immane che ci attende. Poi torno a ieri a quella pluralità di voci, di capelli sciolti, di abiti multicolori. Le curde indossavano i vestiti più belli e sorridevano senza paura  anche se in Rojava la Turchia lancia droni chimici, le fiere sarawi  avvolte nei loro teli colorati rivendicavano i loro 40 anni di lotta, la Mapuche regale nella sua autorità ancestrale che di diceva ”ci hanno tolto la paura quando siamo nate”, le giovani europee con gli occhi che brillavano di determinazione e tenerezza e quelle che avevano vent’anni nei lontanissimi anni settanta, ognuna che arrivava da qualche banda più o meno armata allora in conflitto, che ci sorridevamo contente di scoprirsi ancora vive e forti, le cilene orgogliose delle loro lotte contro il nuovo fascismo, la bellissima afroamericana  con una energia da sgretolare il mondo che gridava ” I promise you, we win”, alle gautemalteche che rivendicavano i loro mondi ancestrale e le loro terre occupate dagli invasori e il diritti dei popoli nomadi a non avere confini, l’indiana che non ha paura di Modi e che rivendica per tutte di liberare il tempo per la lotta. E la potenza di quella chiamata collettiva e sovranazionale letto da Havin Guneser, ingegnera e responsabile dell’Iniziativa Internazionale per la Liberazione di Ocalan – Peace in Kurdistan: Stiamo attraversando tempi difficili ma siamo anche alla nascita di un nuovo sistema. Combattiamo contro il sessismo, il razzismo, l’estrattivismo e il colonialismo ecco perché hanno paura di noi. Devono avere paura perché siamo collegate e saremo sempre di  più ad opporci al sistema patriarcale. Ci devono più di una vita, ci devono la vita delle nostre madri, delle nostre sorelle, noi siamo la loro resistenza. Siamo furiose, decise a cambiare il mondo e chiediamo a tutte le donne di unirsi a noi per la nostra comune lotta. Jin Jiyan Azadi lo sta gridando tutto il mondo.

Questo è un articolo di riflessione, scritto a quattro mani dalle colleghe, Rosella Simone e Giulia Bausano, dopo il ritorno da Berlino:


Il 6 novembre si è conclusa  a Berlino sotto un imprevisto caldo sole autunnale, la seconda conferenza del network “Donne tessendo il futuro” dal titolo “La nostra rivoluzione: liberare la vita” . Come la prima , svoltasi a Francoforte nel 2018, anche questa è stata chiamata e organizzata dal movimento  delle donne curde insieme a  quell’imprevisto soggetto rivoluzionario trasnazionale che sono le donne che lottano contro il sistema di dominazione patriarcale in tutto il pianeta.

 Un incontro per conoscersi, mettere in comune saperi e sofferenze, esperienze e una inesauribile volontà di lotta. Alla prima chiamata di Francoforte  siamo accorse rispondendo a un desiderio profondo dentro tutte noi,  sentivamo che stavamo vivendo un momento storico di forte cambiamento e dovevamo farcene carico. Le compagne curde ci hanno donato una filosofia e un metodo, la  Jineolojî, la scienza rivoluzionaria delle donne e della vita di cui,   in questi anni, abbiamo sperimentato l’efficacia per destrutturare e combattere il sistema patriarcale che ha colonizzato la mente e il cuore di quasi tutte le società.

Questo secondo appuntamento rappresenta una seconda fase, è necessario cercare di agire e reagire contemporaneamente agli attacchi che il patriarcato muove contro le donne in tutto il mondo in maniera sempre più violenta;  è necessario creare organizzazione mentre si agisce unite. 

Il progetto che il movimento delle donne curde porta come proposta  è il Confederalismo democratico mondiale delle donne. Un modello per sua natura flessibile e aperto alle diversità ma che parte da principi chiari,  tra cui il rifiuto dello stato  come forma di potere gerarchica, escludente e identitaria, figlia del patriarcato, attraverso cui si sostiene il capitalismo, al cui posto costruire forme di autorganizzazione sociale e popolare la cui avanguardia sono le donne. 

Perché un movimento di donne? Perché è arrivato il momento che questo soggetto imprevisto e oscurato dalla storia maschile metta in azione la sua forza e rimetta al mondo un mondo senza guerre e senza nazioni, dove tutte e tutti  si sentono connessi alla stessa madre terra nelle sue miriadi di forme vitali.

 Il movimento delle donne curde nasce e cresce dentro il PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan costituitosi verso la fine degli anni Settanta sulla spinta di Reber Apo, Abdullah Ocalan ,e altri uomini e donne tra cui la figura centrale di  Sakine Cansiz. (leggi qui per saperne di più)

E’ stato proprio il movimento delle donne a produrre una trasformazione all’interno del PKK, portando all’elaborazione del nuovo paradigma del confederalismo democratico (Qui un testo di Ocalan sul tema), alla cui base vi è la  convinzione profonda che un’alternativa al sistema patriarcale sia possibile partendo da una rivoluzione delle donne fondata sull’eliminazione del patriarcato, su un’ecologia politica  e su un modello di democrazia radicale dal basso. Se le donne sono il motore, è necessario che tessano le proprie alleanze e  reti, che si riconoscano e confederino per autodifendersi e costruire alternative a livello mondiale. La posta in gioco, come i tempi oscuri in cui siamo ci raccontano, è molto alta. Come ci ha ricordato una compagna da Abya Yala durante la conferenza: ricordiamoci di accendere i nostri fuochi e facciamoli ardere come simbolo di una libertà che è tale solo  se tutte possono essere libere.

Rosella Simone,Giulia Bausano

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