di Federica Pistono

La narrativa del Kuwait è piuttosto giovane, come recenti sono le produzioni letterarie delle altre aree della Penisola araba, dove la Nahḍah è giunta con un certo ritardo rispetto al resto del mondo arabo. Come altri paesi del Golfo, il Kuwait ha assistito a una repentina trasformazione dello stile di vita, con il passaggio da una società tradizionale a una decisamente moderna e tecnologica.

Prima della scoperta del petrolio, la società kuwaitiana presentava una struttura tribale. L’agricoltura era scarsamente praticata, a causa della natura desertica del territorio e della scarsità d’acqua; la maggior parte della popolazione viveva delle risorse offerte dal mare, come la pesca o la pesca delle perle. Non c’era industria locale se non quella legata alla costruzione di barche.

Nel corso del Novecento, in seguito alla scoperta e alla valorizzazione degli immensi giacimenti di petrolio, l’importanza del Paese si è accresciuta e, nella storia dell’economia petrolifera mondiale degli ultimi decenni, il Kuwait ha giocato un ruolo di primo piano a fianco dell’Arabia Saudita tra i paesi aderenti all’OPEC.

  Dal punto di vista letterario, specialmente nel campo della narrativa, il Kuwait vanta una vasta produzione, che lo vede secondo, per numero di opere pubblicate, soltanto all’Arabia Saudita nell’area del Golfo.

  Gli scrittori kuwaitiani nati negli anni Quaranta e Cinquanta affrontano prevalentemente, nelle loro opere letterarie, argomenti di carattere sociale, legati ai diritti umani, alla condizione femminile, ai tabù della religione, della politica e del sesso.

  Gli scrittori nati tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta focalizzano l’attenzione sulle questioni legate all’identità: dopo la scoperta del petrolio, le rapide trasformazioni sociali delle comunità del Golfo hanno rimesso in discussione la questione dell’identità personale e nazionale, a causa della massiccia immigrazione di lavoratori provenienti dal sud-est asiatico, portatori di lingue, culture, religioni e tradizioni diverse.  La questione degli apolidi, i Bidun (letteralmente: Senza) è analizzata in molti romanzi, come pure, al centro di numerose opere, figurano i problemi suscitati dalle ibridazioni che si verificano tra due lingue, due culture, due religioni, a volte anche due nomi, dati a una stessa persona portatrice di un’identità mista.

  La presente trattazione non ha certo carattere di esaustività. Moltissime sono le opere di autrici e autori kuwaitiani non menzionate in questo articolo, che intende presentare soltanto alcuni dei titoli più celebri di una narrativa ancora quasi del tutto sconosciuta al lettore italiano.

   Gli esordi della narrativa kuwaitiana risalgono alla fine degli anni Quaranta, quando Farḥān Rāšid al- Farḥān (1928-1975) scrive il primo romanzo kuwaitiano, I dolori di un amico, del 1948, seguito da varie raccolte di racconti, fra le quali spicca Ironie del destino (1972).

  Nei suoi racconti, al- Farḥān affronta le tematiche della condizione femminile e dell’amore, argomenti fino ad allora ignorati, in una sfida piuttosto audace nella conservatrice società kuwaitiana di quel tempo.

  Notevole la produzione di Ismail Fahd Ismail (Ismā ̔ īl Fahd Ismā ̔ īl, 1940-2018), di origine irachena, acclamato come uno degli scrittori più raffinati e prolifici nella storia letteraria del Kuwait. È nato nel 1940 nel villaggio di al-Sabiliat vicino a Bassora, in Iraq, ed è cresciuto tra il Kuwait e l’Iraq. Laureato in Letteratura e Critica presso l’Istituto Superiore di Arti Drammatiche del Kuwait, ha lavorato sia come insegnante sia nell’amministrazione pubblica kuwaitiana, gestendo, contemporaneamente, una società di produzione artistica. Ismā ̔ īl è considerato il vero fondatore del romanzo in Kuwait. Dall’uscita del suo primo libro, Il cielo era blu, nel 1970, ha pubblicato ventisette romanzi, tre raccolte di racconti, due opere teatrali e diversi studi critici. Negli anni Settanta, dopo Il cielo era blu, ha dato alle stampe altri tre romanzi (Gli stagni luminosi, 1972, La corda, 1972, Le altre sponde, 1973) che dipingono un affresco dettagliato della società irachena degli anni Sessanta.

 Con il passare del tempo, lo scrittore si avvicina a tematiche più strettamente legate alla storia e alla politica del Kuwait. Questi motivi appaiono infatti nel suo romanzo La fenice e l’amico fedele, (Fī ḥaḍrat al-̔ anqā’ wa al-ḫil al-ūfī), selezionato per il Premio internazionale per la narrativa araba nel 2014.

 La fenice e l’amico fedele, romanzoincentrato sulla questione degli apolidi, è la storia della vita di Mansi Ibn Abihi (letteralmente: “Dimenticato, figlio di suo padre”), un uomo che proviene dalla classe dei kuwaitiani chiamati Bidun perché privi della cittadinanza kuwaitiana. Uscito di prigione dopo la liberazione del Paese, decide di scrivere la storia della sua vita, indirizzandola alla figlia che non ha mai conosciuto, Zeinab – nata durante l’occupazione del Kuwait – nella speranza di poterla incontrare. Mansi ricorda le sue sofferenze di apolide e racconta alla figlia la storia della famiglia e l’odissea della madre, che conserva i documenti di famiglia nella speranza di riuscire a ottenere la cittadinanza. Descrive la sua vita di giovane autodidatta e l’invasione del Kuwait, la costrizione all’arruolamento nell'”esercito popolare” iracheno, la fuga, la partecipazione alla resistenza kuwaitiana, la prigionia e la successiva scarcerazione. Il romanzo rappresenta dunque un interessantissimo spaccato di storia contemporanea del Golfo, vista con gli occhi di un kuwaitiano.

  Nel 2017, l’autore è nuovamente selezionato per l’IPAF, giungendo nella short list con il romanzo al-Sabīliyyāt (il nome del villaggio natale dell’autore).  L’opera ripercorre la storia di un’area verde nel mezzo di una vasta terra desolata, in Iraq, dopo la più lunga guerra del Ventesimo secolo, il conflitto Iran- Iraq. Le forze irachene hanno bloccato gli affluenti del fiume Shatt al-Arab, impedendo all’acqua di scorrere verso le foreste di palme situate sul lato occidentale del fiume. Così, con il passare degli anni, le palme si sono seccate. Alla fine, l’intera vegetazione della zona è scomparsa, tranne una striscia verdeggiante che si estende dallo Shatt al-Arab fino al limite del deserto a ovest, in un’area chiamata “Al-Sabiliat”. È stata una donna anziana a salvare la vegetazione di quel nastro di terra, e a rifornire il villaggio e i soldati che lo occupano.

  Il romanzo è stato pubblicato negli Stati Uniti con il titolo The Old Woman and the River da Interlink, quasi un anno dopo la morte dello scrittore, avvenuta nel 2018.

  Le opere di Ismail Fahd Ismail, purtroppo, non sono pubblicate in lingua italiana. 

  Alla generazione nata negli anni Quaranta appartiene anche Laylā al-‘Uthmān, giornalista, romanziera e scrittrice di racconti, nata in un’importante famiglia kuwaitiana nel 1943. Nel corso della sua carriera ha pubblicato quattordici raccolte di racconti, nove romanzi e molti articoli di argomento letterario. Ha infatti iniziato a scrivere negli anni Sessanta, occupandosi dapprima di questioni sociali, collegate alla condizione femminile nel Paese, e pubblicando diverse raccolte di racconti, tra le quali La donna e la gatta, del 1985, la cui tematica centrale è la denuncia dell’arretratezza e dell’ipocrisia della società kuwaitiana, sotto un velo di apparente modernità. Del 1986 è il suo romanzo Wasmiyya esce dal mare (pubblicato in italiano dalla casa editrice Jouvence nel 2006). L’opera s’incentra ancora una volta sulle problematiche della società kuwaitiana, descritta da uno sguardo femminile. Il mare è presentato non solo come un elemento del paesaggio, ma come un rifugio per chi desideri evadere da una realtà opprimente.

  Tra il 2004 e il 2005 l’autrice scrive il romanzo Il silenzio delle farfalle (pubblicato in italiano con il titolo Il messaggio segreto delle farfalle, Newton Compton, 2011, traduzione di V. Colombo), in cui la farfalla simboleggia la protagonista Nadia e tutte le donne che cercano di combattere una quotidianità soffocante e trovare la propria strada. La condizione femminile, in bilico tra tradizione e modernità, tra famiglia ed emancipazione, è il tema centrale dell’opera. La protagonista è figlia di un kuwaitiano e di una siriana, ha diciassette anni e vorrebbe vivere la propria vita, frequentando l’università, scegliendo liberamente il marito e il lavoro. Ma la sua famiglia ha già deciso per lei e, nel rispetto di una tradizione ferrea, le impone di sposare un uomo molto più vecchio, un ricco kuwaitiano con due matrimoni alle spalle e figli a carico. Per quattro anni, Nadia rimane prigioniera del marito dispotico, costretta a subire ogni tipo di umiliazione senza poter reagire. Tuttavia, la protagonista non rinuncia a lottare, perché, nonostante il silenzio intollerabile in cui è stata rinchiusa, il suo desiderio di libertà non può essere messo a tacere. Nella seconda parte del romanzo, dopo la morte del marito, il personaggio riuscirà, in parte, a realizzare i suoi sogni.

  Legato al passato marinaresco del Kuwait è Taleb al-Refai (Ṭālib al-Rifā ̔ ī), nato nel 1958, laureatosi prima in ingegneria civile nel 1982 nel suo paese e poi, nel 2016, in Creative Writing a Londra. Autore di romanzi e raccolte di racconti, ha cominciato a pubblicare nel 1998 con Bruciato dal sole. Nel 2002 ha vinto il Kuwaiti State Prize for Literature con Il profumo del mare. Dal 2003 al 2008 ha lavorato al Kuwaiti National Council of Culture, Arts and Literature. Dallo stesso anno dirige la rivista Jaridat al-Fanun. A capo del al-Multaqa Prize for the Arabic short story dal 2015, insegna Scrittura creativa all’American University of Kuwait. Nel 2010 ha ricoperto il ruolo di giudice per il prestigioso premio IPAF (International Prize for Arabic Literature).

  Due romanzi dell’autore si sono collocati nella long list dell’IPAF: nel 2016 il romanzo Qui (Fī al-hunā), poi, nel 2018, il romanzo al-Nağdī (al-Najdi).

  Qui narra le sofferenze sopportate da una giovane donna sciita che, nel Kuwait contemporaneo, si innamora di un uomo sunnita sposato e padre di famiglia. Il titolo del romanzo allude al significato dei molti luoghi in cui si dipana la storia. “Qui” è l’ufficio in cui lavora il narratore, è l’appartamento in cui la protagonista, Kawthar, sceglie di vivere da sola. È la casa della famiglia sciita della ragazza, che rifiuta il matrimonio della figlia con un uomo sunnita, ma è anche il Kuwait, un Paese ancora aggrappato alle sue tradizioni.

  Al-Najdi, storia di un marinaio è accessibile al pubblico italiano (pubblicato come Taleb Alrefai, Al-Najdi, storia di un marinaio, MR Editori, 2022, traduzione di A. D’Esposito). Il romanzo segue le ultime ore della vita di Ali Al-Najdi, uno dei capitani più famosi della storia del Kuwait, nella sua ultima avventura in mare. Allo stesso tempo, ripercorre la storia del Paese dalla nascita del protagonista, nel 1907, fino alla sua morte, avvenuta in una sera di febbraio del 1979. L’opera può considerarsi una storia d’amore tra un kuwaitiano e il mare; il protagonista ha dedicato la vita al mare, dopo aver trovato insopportabile la vita in città, e ha sempre mantenuto un misterioso legame con le acque che non hanno mai smesso di chiamarlo.

  La storia si svolge nell’arco di una sola giornata. Al-Najdi è ormai un uomo anziano, marito, padre e nonno amato e rispettato, custode di un modo di andare per mare che non esiste più. Rispondendo per l’ultima volta al richiamo del mare, il capitano s’imbarca, con due amici, per una battuta di pesca. Seguendo i fili della memoria, si svela agli occhi del lettore un mondo magico e perduto.

  Mai Al-Nakib (May al-Naqīb) è nata in Kuwait nel 1970 e ha trascorso i primi sei anni della sua vita a Londra, Edimburgo e St. Louis, nel Missouri. Ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura inglese presso la Brown University ed è professoressa associata di letteratura inglese e comparata presso la Kuwait University. La sua ricerca accademica si concentra sulla politica culturale in Medio Oriente, con particolare attenzione al genere, al cosmopolitismo e alle questioni postcoloniali. La sua raccolta di racconti, Kitāb al-ḍū’al- ḫafī l-l-ašiyā’, (Il libro della luce nascosta degli oggetti), è stata pubblicata in lingua inglese da Bloomsbury nel 2014 con il titolo The Hidden Light of Objects. La raccolta ha vinto il First Book Award 2014 dell’Edinburgh International Book Festival. Il suo romanzo d’esordio, An Unlasting Home, in lingua inglese, è in pubblicazione da Mariner Books-Harper Collins, l’uscita è prevista per l’aprile del 2023.

  La raccolta La luce nascosta degli oggetti si compone di dieci racconti. Le storie focalizzano l’attenzione del lettore sulla capacità degli oggetti quotidiani di suscitare, nei vari personaggi, sensazioni, sentimenti e ricordi dimenticati, e sulla possibilità delle esperienze passate di influire sul presente e sul futuro. Le storie sono tutte ambientate in Medio Oriente e, pur utilizzando la cornice di eventi storici – l’invasione irachena del Kuwait, la guerra civile libanese, la tragedia palestinese -, hanno come protagonisti uomini e donne comuni. I racconti narrano guerre, disordini e scontri religiosi. Ma, al di là degli eventi drammatici, il lettore può cogliere altri aspetti della vita del mondo arabo: l’amore adolescenziale, il desiderio di indipendenza, la fragilità del matrimonio, la sofferenza quotidiana. Si tratta di storie che vogliono evidenziare anche i momenti più semplici, le “piccole cose” della vita di coloro che risiedono in questa martoriata regione del mondo, analizzando il potere quasi magico degli oggetti di evocare ricordi straordinari.

   Erika Banerji ha affermato che Al-Nakib ha “compassione per un mondo vecchio e scomparso e un occhio eccezionale per il paesaggio martoriato del Medio Oriente moderno”.

  Il romanzo An Unlasting Home narra la storia di Sara, professoressa di filosofia all’Università del Kuwait, tornata in patria da Berkeley da undici anni in seguito alla morte improvvisa della madre. I suoi compagni sono il pappagallo parlante Bebe Mitu, il cuoco di famiglia Aasif, e Maria, la sua balia, l’unica persona che è sempre stata presente nella sua vita. Il rapporto di Sara con il Kuwait è complicato: è una terra che ha sempre pensato di lasciare, un paese che riconosce sempre meno, eppure una certa inerzia la trattiene. Ma, quando l’insegnamento di Nietzsche nel suo corso di introduzione alla filosofia la espone a un’accusa di blasfemia, che porta con sé il rischio della condanna a morte, la protagonista si rende conto di dover ripensare il suo rapporto con il Paese natale.

  Dagli anni Venti ai giorni nostri, l’opera ripercorre l’ascesa del Kuwait, da Paese arretrato dedito alla pesca delle perle a fiorente nazione cosmopolita all’indomani dell’invasione irachena.

  Nel 2013, il prestigioso Arabic Booker Prize è assegnato per la prima volta a uno scrittore kuwaitiano, Saud Al Sanousi, esponendo la narrativa del Paese all’attenzione internazionale.                                                            

 Saud Al Sanousi (Saʻūd al-Sanʻūsī) è nato nel 1981. Il suo romanzo d’esordio Il prigioniero degli specchi, del 2010, ha vinto il Premio Leila Othman. Nel 2011, il suo racconto Il bonsai e il vecchio ha vinto un concorso organizzato dalla rivista Al-Arabi e dalla BBC Arabic. Il suo romanzo Sāq al-bāmbū (pubblicato in italiano come: Saud Al Sanousi, Canna di bambù, Atmosphere Libri, 2019, traduzione di A. Kelany) scritto dal punto di vista di un ragazzo di origini kuwaitiane-filippine che lotta per trovare un posto nei due paesi, ha vinto il Premio internazionale per la narrativa araba del 2013. L’autore vive in Kuwait e scrive per il quotidiano Al-Qabas. 

  Il romanzo affronta in modo esplicito temi di carattere sociale, come l’immigrazione di lavoratori del sud-est asiatico nei Paesi del Golfo e il trattamento loro riservato. Sono questi contenuti innovativi a costituire il punto di forza dell’opera che le ha permesso di ottenere visibilità internazionale.

 L’opera racconta la storia di Josephine Mendoza, una cameriera filippina, e di suo figlio, José o Issa, per metà kuwaitiano e per metà filippino. Josaphine ha lasciato il suo paese per emigrare in Kuwait, nella speranza di ottenere una vita migliore e aiutare la sua famiglia rimasta in patria.  Si impiega come domestica nella casa di una ricca famiglia kuwaitiana e s’innamora dell’unico figlio, Rashid, viziato della madre Ghanima e del padre Issa. Ghanima si oppone al matrimonio del figlio con la ragazza, a causa delle differenze sociali. Rashid e Josaphine si accordano allora per un matrimonio segreto, ma il progetto di una vita comune è destinato al fallimento. La giovane rimane incinta e Rashid, succube della madre, la rimanda nelle Filippine, dove il loro bambino dal doppio nome, José- Issa, cresce. Le invia denaro di tanto in tanto fino a quando non cade prigioniero dalle truppe irachene durante la prima guerra del Golfo. Più tardi, Josephine viene informata della morte del giovane. La donna lotta per sopravvivere nel suo Paese, nella speranza che il bambino possa tornare un giorno nella terra del padre per vivere una vita migliore, dopo gli anni di privazioni trascorsi nelle Filippine.

  Il testo s’incentra sulla questione della doppia identità del protagonista José-Issa, figlio di una domestica filippina e di un kuwaitiano di buona famiglia, un’identità in bilico tra due mondi e due culture. Questa dualità si riflette anche nella struttura del libro, articolato in due parti, la prima ambientata nelle Filippine, la seconda collocata in Kuwait. Nella prima parte, l’autore tratta dell’incontro tra i genitori, della nascita e della crescita del figlio nelle Filippine. Nel Paese della madre, l’autorità familiare è incarnata dal nonno materno, con cui il giovane protagonista sperimenta un’incomprensione di fondo. Accanto a questa figura maschile appaiono tre personaggi femminili, ciascuno dei quali offre al ragazzo affetto e tenerezza: la madre Josephine, la zia Aida, la cugina Mirla.

  Nella seconda parte del libro, si racconta il ritorno di José-Issa, ormai diciottenne, in Kuwait, alla ricerca di un futuro migliore nel Paese. Nella famiglia paterna, in cui è freddamente accolto e considerato un parente povero, l’autorità familiare è incarnata dalla nonna Ghanima, che rappresenta le rigide convenzioni sociali del Paese. Portatrice di una diversa sensibilità è Khawla, sorellastra di José, un personaggio femminile positivo, privo di pregiudizi, con il quale il protagonista instaura un rapporto di confidenza e fiducia. Sarà proprio lei a essere utilizzata dall’autore per costruire la cornice dell’opera: è infatti Khawla a suggerire al fratello di scrivere la sua storia.

  L’opera è dunque il romanzo di formazione di José-Issa, io narrante, sguardo inquieto e indagatore, bambino, poi adolescente ostaggio di ostracismi incrociati, battezzato cristiano, promesso musulmano, accarezzato dal buddismo, incapace di risolvere la sua fede spontanea in un dogma assoluto. Troppo filippino per gli arabi, troppo arabo per sentirsi compiutamente filippino. Come la canna di bambù che dà il titolo al libro, il protagonista non ha radici.

  José-Issa incolpa i suoi genitori di avergli lasciato un’identità ibrida, due lingue, due culture, due nomi, due Paesi. Si sente perduto, spaesato, respinto da ciascuno dei due mondi; sente il bisogno di una patria e una famiglia cui offrire amore e lealtà, ma sperimenta un senso di estraneità per le due culture.

  La seconda questione affrontata nel romanzo è quella degli apolidi, i Bidun.  L’autore descrive la condizione di questi non-cittadini, che s’impegnano come gli altri kuwaitiani nello sviluppo e nella difesa del Paese, ma incontrano ovunque pregiudizi etnici e discriminazioni.

  Il secondo romanzo dell’autore Fa’rān Ummī Ḥiṣṣah (I topi di mamma Hissa), edito nel 2015, ha carattere distopico ed è ambientato in un Kuwait del prossimo futuro, un Paese che ha ceduto alla violenza settaria e al caos, anche se non senza opposizione. Un gruppo di amici, che si fa chiamare i Ragazzi di Fuada, ha cercato per anni di richiamare l’attenzione della nazione attraverso trasmissioni radiofoniche, articoli in rete e dimostrazioni pubbliche, nel tentativo di mettere in guardia i compatrioti dai pericoli dell’odio, dell’intolleranza e del fondamentalismo. Ma quando il narratore, il giovane Katkut, riprende conoscenza in mezzo alla strada, ritrovandosi contuso, con l’auto semidistrutta fra edifici in fiamme, sembra che l’azione del gruppo si sia risolta in un totale fallimento. Il telefono di Katkut è intasato da chiamate perse e messaggi, ma uno in particolare attira la sua attenzione: è del suo editore di Beirut, che gli chiede di eliminare alcuni capitoli dal suo romanzo in prossima uscita, L’eredità del fuoco, per evitare che venga censurato e, di conseguenza, messo al bando.

  Per una strana analogia, il romanzo di Al Sanousi è stato bandito in Kuwait sin dalla sua uscita, nonostante la popolarità dell’autore.

  Buthayna Al-Issa (Buṯayna Al ̔ Issā) ripropone, nelle sue opere, la tematica della condizione femminile.  Nata nel 1982 in Kuwait, nel 2011 ha conseguito la laurea in Finanza e Servizi Finanziari presso la Facoltà di Scienze Amministrative. Attualmente lavora come analista finanziario presso il Ministero delle Finanze del Kuwait e scrive per il settimanale Al Sada di Dubai.

  La sua carriera di scrittrice è cominciata negli anni dell’università, nel 2003 ha infatti vinto l’annuale competizione letteraria organizzata dall’Ente per la Gioventù e lo Sport del Kuwait. Nel 2004 ha pubblicato il suo primo romanzo, ma la fama è arrivata nell’anno seguente con Su‘àr (Frenesia), che ha vinto il Premio Nazionale di Incoraggiamento. Nel 2006 ha pubblicato ̔ Arūs al-Maṭar (La sposa della pioggia), ampiamente acclamato dalla critica per la trattazione delle problematiche sociali che affliggono la società kuwaitiana e lo stile poetico che lo contraddistingue; nel 2009 è pubblicato Taḥt ’Aqdām al-’Ummihāt (Sotto i piedi delle madri) e nel 2012 ‘Aiša tanzil ’ilā al-‘Ālam al-Sufliyy (Aisha scende nel sottomondo), entrato nella long list della categoria giovani autori del Premio Shayḫ Zayyed 2013. Nel 2019 la Casa Editrice Hoopoe Fiction ha pubblicato la traduzione in inglese del suo romanzo All that I want to forget (Kullu al-’Ašiyā’). Il suo ultimo romanzo, Al-Sindibād al-’A‘mā (Sindbad cieco), uscito nel 2021, è ambientato in Kuwait e tratta dell’invasione irachena del paese e delle sue conseguenze sulle varie generazioni.

  Nel titolo stesso di ̔Arūs al-Maṭar è racchiuso il tema principale del romanzo, ovvero il matrimonio.                                                              

’Asmā’, la protagonista, ha ventisei anni ed è una ragazza molto infelice, si sente brutta e abbandonata. Sette anni prima il padre ha preso, contemporaneamente, tre mogli dalle quali ha avuto una quindicina di figli che lei quasi non conosce, mentre sua madre si è trasferita in Giordania. La ragazza, contrariamente alla consuetudine, decide di vivere da sola all’ultimo piano del palazzo in cui il padre risiede con le mogli e i figli, mantenuta dal genitore che mensilmente le passa una piccola rendita. ’Asmā’ ha anche un fratello gemello, Osama, che si prende cura di lei, ricoprendola di attenzioni e cercando in tutti i modi di risvegliarla dalla sua apatia. Così ’Asmā’, per dare una svolta alla monotonia della vita quotidiana, decide di intraprendere un progetto che a parer suo le rivoluzionerà l’esistenza, cioè scrivere la biografia della sua insegnante delle superiori, con la quale ha mantenuto un forte rapporto di amicizia, idealizzandola a simbolo dell’emancipazione femminile. Il finale a sorpresa lascia il lettore senza fiato.

 Al centro dell’opera, la condizione della donna kuwaitiana. Un elemento importante e innovativo del romanzo riguarda il rapporto dell’io femminile con il proprio corpo e il suo aspetto esteriore, base del costante senso di inadeguatezza provato dalla protagonista. I simboli e i modelli dello stile di vita occidentale hanno ormai permeato anche il modo di pensare degli abitanti del Golfo, tant’è vero che il personaggio riflette sulla sua Barbie – la famosa bambola americana in compagnia della quale ogni bambina trascorre la propria infanzia – turbata e delusa dal fatto di non assomigliarle.

  A tali temi si lega anche un altro aspetto presente nel romanzo, soprattutto, per le società mediorientali e cioè la questione del nubilato. Le tristi conseguenze di natura psicologica e il suo effetto, a livello sociale, per una ragazza che ha raggiunto l’età di ventisei anni, sono dirompenti. La famiglia di ’Asmā’ è seriamente preoccupata per lei perché il tempo passa e non si è ancora sposata, infatti Wasmiya, una delle sue tre matrigne, la costringerà a partecipare a una festa di matrimonio per mettersi in mostra, perché saranno presenti tutte le possibili suocere a caccia di una sposa per i loro figli maschi.

  L’opera è estremamente interessante per lo stile narrativo poetico, e quasi onirico, con cui vengono presentate le vicende esistenziali della protagonista e per il modo innovativo con cui l’autrice affronta questioni di genere, non esclusivamente legate alle società mediorientali, ma a carattere molto più universale, avvicinandosi quindi al lettore, toccandolo nel suo intimo e facendolo riflettere con il sarcasmo e l’ironia sottile che la contraddistinguono.

  Le opere di Buthayna Al-Issa non sono tradotte in italiano.   Quasi ignorata dall’editoria italiana, la narrativa del Kuwait, per la varietà degli argomenti trattati e per l’attualità del suo sguardo sul Golfo, meriterebbe senz’altro una più ampia diffusione presso il pubblico dei lettori

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