L’informazione dal basso si autoalimenta. Riprendiamo da Comune-Info (QUI) un articolo di Lorenzo Guadagnucci, che la redazione del sito collega ad una notizia che abbiamo pubblicato qualche giorno fa.

Nella notte della violenza, lunga più di settant’anni, tante donne e uomini non hanno smesso di cercare relazioni fuori dal dominio militare. È proprio nei momenti più bui che occorre nutrire l’opzione nonviolenta, con le sue molte e diverse storie che non fanno notizia

Nei primi giorni di ottobre, un centinaio di donne israeliane (del movimento Donne per la pace) e palestinesi (Donne del sole) hanno promosso a Gerusalemme ovest un raduno pacifista per dire “Basta alle uccisioni”. L’iniziativa si è conclusa con una marcia verso il Mar Morto (foto pubblicata dalla pag. fb di Assopace Palestina, questo il link alla notizia diffusa da anbamed.it)

Una dozzina di anni fa, durante un viaggio in Israele e Cisgiordania, mi capitò di partecipare a un piccolo presidio nonviolento nei pressi di un villaggio palestinese nei territori occupati da Israele. Ci unimmo – eravamo in quattro – a un gruppetto di persone del posto che da qualche tempo manifestavano, con la propria presenza, per difendere i propri uliveti, minacciati d’essere estirpati. A una certa distanza, sulla collina opposta, si intravedevano militari israeliani e altre persone: osservavano, senza intervenire. Quel piccolo presidio, nell’economia di quel viaggio, fu uno dei pochi, forse l’unico, motivo di conforto, a fronte dell’angoscia suscitata dalla constatazione che un clima di oppressione e violenza gravava su tutta l’area. Angoscianti, in particolare, la condizioni di vita in Cisgiordania, che attraversammo fra posti di blocco, presidi militari, muri di separazione, strade semi deserte. Ma angosciante, in modo diverso, anche la vita in Israele, una società di fatto militarizzata.

Si aveva la sensazione fortissima, già allora, d’essere in un vicolo cieco, con gli oppressori da un lato, sempre più decisi a estendere il proprio arbitrario controllo su terre e corpi altrui, e gli oppressi dall’altro, soggiogati, infelici e senza strategie politiche di liberazione, dopo il fallimento degli accordi di Oslo e la tragica stagione degli attentati. La via dell’azione nonviolenta, quindi la crescita dal basso di una nuova capacità di rivendicare i propri diritti, pareva un raggio di luce, sia pur flebile, in quella notte politica: prefigurava la possibilità di sbloccare lo stallo facendo leva sugli attivisti non militarizzati delle due parti e da lì cominciare a mobilitare le rispettive opinioni pubbliche. In quello stesso periodo Luisa Morgantini, con AssoPacePalestina, invitò in Italia un attivista nonviolento palestinese, che venne a raccontare le idee e le azioni di quel piccolo ma promettente movimento.

Sono passati oltre dieci anni e quel raggio di luce, a quanto pare, si è spento, o forse è stato spento. Lo Stato di Israele, da allora, ha addirittura accresciuto la propria pressione sulla popolazione palestinese, fra violenze, omicidi, nuovi insediamenti coloniali, fino a stabilire un sistema di potere che le maggiori organizzazioni internazionali (anche israeliane) per la tutela dei diritti umani definiscono di apartheid. Di pari passo, c’è stato un progressivo spostamento a destra dell’asse politico, fino all’attuale governo, estremista e suprematista, guidato dal solito Netanyahu; l’opinione pubblica democratica e pacifista, un tempo significativa in Israele, è finita ai margini della scena, quasi eclissata. Sul lato palestinese, l’opzione nonviolenta non ha preso campo e la direzione politica – se ve ne è davvero una – è impressa, in Cisgiordania, dal corrotto e confuso apparato dell’Anp e a Gaza – quella terribile prigione a cielo aperto – dal movimento islamista Hamas, protagonista in queste ore di una spaventosa reazione armata all’oppressione.

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