La Tunisia parla (anche) francese:

il romanzo francofono degli ultimi anni

di Antonino D’Esposito

In occasione del decennale delle primavere arabe, in Italia, la letteratura scientifica ha prodotto tra il 2020 e il 2021 dei testi generalisti di analisi sociopolitica e letteraria circa il “fenomeno primavere arabe” senza però soffermarsi sui casi dei singoli paesi. Diversamente, in Francia, la comunità scientifica, da sempre più attenta al mondo arabo e al Maghreb soprattutto, ha pubblicato dei volumi che saranno fondamentali per il presente progetto, è il caso di tre libri usciti per l’Institut du Monde Arabe di Parigi: Il étati une fois… les révolutions arabes, Divas, d’Oum Kalthoum à Dalida e, in modo particolare, De la révolution à la réstauration, où va la Tunisie?. Nonostante tali opere, però, uno sguardo sull’ultima letteratura francofona tunisina manca ancora. Se si guarda alla ricezione italiana in traduzione, ma anche agli studi critici francesi e non, tra le tre francofonie maghrebine, quella tunisina fa un po’ la figura dell’ancella. La francofonia algerina a causa della lacerante guerra che oppose Algeria a Francia metropolitana è sempre stata sotto gli occhi di tutti; quella marocchina soprattutto negli ultimi decenni ha avuto esponenti con grande consenso di critica e in particolare di pubblico; quella tunisina, pur rimanendo viva e vivace, è vissuta all’ombra delle sorelle maggiori. Nonostante nel 2016 e nel 2017 due tunisini abbiamo vinto il Prix de Cinq Continents de la Francophonie l’editoria italiana continua a prestare poca attenzione a una cultura che è molto vicina geograficamente a noi; infatti, fatta eccezione per Ouatann di Azza Filali, altri scrittori di primo piano, come Yamen Manai, sono del tutto sconosciuti.

Una decina di anni fa, il gesto disperato di un ambulante, Mohammed Abu Azizi, a Sidi Bouzid, diede il la a un meccanismo a catena che vide il mondo arabo del Maghreb e del Mashreq sconvolto dai moti rivoluzionari, finiti poi sotto l’etichetta di primavere arabe. L’Occidente, in particolar modo la sua opinione pubblica, si trovò di fronte a degli eventi che sfuggivano alla comprensione dei più, immersi com’erano e come sono nel totale disinteresse verso ciò che accade sull’altra sponda del Mediterraneo. Eppure, per le persone che al di là del mare vivevano, i sollevamenti furono il naturale sbocco al percorso segnato dai vari regimi autoritari. Ma come ha reagito, poco prima e immediatamente dopo gli eventi, la produzione letteraria francofona tunisina?

Yamen Manai, una delle voci ormai affermate del panorama letterario tunisino, nella prefazione al suo romanzo La sérénade d’Ibrahim Santos spiega la situazione assurda in cui si è venuto a trovare tra la stesura dell’ultimo capitolo del libro e l’effettiva pubblicazione. Nel testo lo scrittore immagina una fantomatica repubblica delle banane sudamericana in cui una cittadina, rimasta fuori dalle vicende storiche della nazione, viene snaturata dal nuovo regime che si accorge della sua esistenza. Nel dicembre 2010 Yamen Manai concludeva il romanzo, meno di un mese dopo la rivoluzione scoppiava; travolto dai fatti, il testo appare per certi versi premonitore per il modo in cui il protagonista affronta la dittatura militare. Manai si chiede: “Je ne sais quel accueil aurait eu ce livre si le pays était toujours entre le mains de Bonnie and Clyde”, facendo riferimento all’ex dittatore Ben Ali, e prosegue: “Mes angoisse ont été réduites en cendre par le sacrifice d’un homme puis balayées par la révolte populaire”. La dignità, così acclamata dai manifestanti nelle vie di Tunisi, fa però paura a Yamen Manai che teme sia il preludio a un nuovo baratro, una nouvelle souris manipolatrice, come lui stesso la definisce poco oltre.

Purtroppo, le paure di una nuova deriva totalitaria e islamista espresse da Yamen Manai non sono state smentite dai fatti, né per la Tunisia né per le altre nazioni in rivolta che hanno assistito alle vittorie elettorali di partiti religiosi, en-Nahda per esempio, o ennesimi colpi di stato militari, come quello egiziano. È Aymen Hacen, poeta, accademico e traduttore di Hammamet, lo scrittore che, forse, più di tutti si è gettato a capofitto nella passione politica per una Tunisia nuova e democratica con una serie di saggi e analisi delle vicende storico-politiche. Le retour des assassins, propos sur la Tunisie : janvier 2011 – juillet 2012 (2013), Hymne national précédé de L’Assassinat de Chokri Belaïd (2014) e L’Art tunisien de la guerre (2014), sotto la forma del pamphlet, seguono i travagliati momenti successivi alla rivolta tesi alla ricerca di un volto politico nuovo per il paese. Ma è con l’espediente del journal intime, Casuistique de l’égoïsme. Journal du ramadan 1434-2013 (2014), che l’anima dell’intellettuale si mette alla prova: sfruttando l’astinenza a cui il buon musulmano deve attenersi nel mese sacro di Ramadan, l’autore accetta la sfida di smettere di fumare e affronta un percorso purificatore che gli conferisce nuovi occhi per guardare al futuro con un minimo di speranza.

Un avvenire che però non può fare a meno del passato, ma questo passato può essere analizzato tornando in patria: quello che fa Fawzia Zouari ne Le corps de ma mère, vincitore nel 2015 del succitato premio francofono. Nella spola tra Parigi e Tunisi, tra la famiglia d’origine e quella costruita in Francia, la protagonista del romanzo, assistendo la madre nell’ultimo periodo della malattia, prova a riannodare i fili della propria esistenza e a far rivivere la propria autenticità rievocando il corpo del genitore simbolo di una Tunisia che si sta perdendo, quella delle oasi, dei costumi quasi berberi di una popolazione che viveva ai margini del deserto e che l’urbanizzazione ha snaturato. In questo contesto si inserisce anche la riflessione sulla lingua e l’uso del francese in una nazione che è, a tutti gli effetti, post-coloniale. Il rapporto con la lingua parlata dalla madre e il francese, inseritosi nel dialogo tra le due donne, testimonia che neanche la letteratura francofona tunisina ha chiuso gli occhi sulle questioni di scelte linguistiche che hanno avuto pesanti ripercussioni psicologiche.

L’interrogativo sulle ripercussioni psicologiche della situazione della gioventù tunisina, in particolare maschile, trova a sua volta un naturale spazio d’indagine in numerose opere. Preoccupazione principale degli scrittori, in questo caso, è l’analisi dell’attrattiva che i gruppi jihadisti hanno sui giovani uomini tunisini disoccupati. Tentativi di immigrazione clandestina verso l’Europa, vita di sussistenza e di espedienti, radicalizzazione islamica sono i grandi temi di Outann (2012) di Azza Filali, scrittrice e medico classe ’52. Intorno a una casa di fronte al mare, costruita da un francese che si è fatto seppellire in giardino, ruotano le vite di diverse persone che rappresentano tutte le anime della Tunisia contemporanea: la giovane avvocatessa che cerca una strada professionale scontrandosi col patriarcato, genitori reduci dalla fine dell’era coloniale orami privi di autorità, uomini di malaffare che possono tutto, forze dell’ordine corrotte e giovani alla sbaraglio ai quali si aprono solo due vie di fuga: la radicalizzazione o l’immigrazione illegale. Il problema dell’ascesa di un islamismo che con l’essenza della religione islamica non ha niente a che fare è il cuore anche de L’amas ardent (2017) del già citato Yamen Manai. Un apicoltore deve affrontare e risolvere un enigma: una specie aliena di insetto attacca e distrugge gli alveari della zona senza che le api siano in grado di difendersi come al solito; una ricerca della soluzione che lo porterà lontano, fino in estremo oriente sulle tracce del’habitat originario di questi insetti intrusi, metafora del cancro del fondamentalismo. E come lo si vince il fondamentalismo? Nell’immagine dell’ammasso ardente, una tecnica difensiva delle api giapponesi, Yamen Manai individua la conoscenza di sé, ma soprattutto dei punti deboli del nemico il modo per sconfiggere il male di questo pseudo Islam; conoscenza e cultura vanno perseguite ad ogni costo, ci suggerisce lo scrittore.

Da questa breve panoramica su alcuni degli scrittori e dei testi francofoni tunisini, nati nell’ultimo decennio, appare evidente che la Tunisia offra al lettore e allo studioso tanti esempi validi della propria fervida attività intellettuale che non deve passare in sordina. Nomi nuovi e case editrici indipendenti ed efficaci (come Elyzad e Nirvana) ci forniscono materia letteraria che attende di essere letta e analizzata anche per capire meglio la realtà che ci circonda e che riguarda anche noi italiani, così vicini per storia e latitudine a questo fazzoletto di terra africana proteso verso la Sicilia.

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