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[LE RECENSIONI DI FONTI di PACE] “L’Insolente”, biografia di Pinar Selek

L’Insolente (Fandango edizioni, “58 pagine, 19 euro) è la biografia umana e politica di Pinar Selek, nata a Istambul nel 1971, di formazione sociologa, femminista, antimilitarista, scrittrice, impegnata a combattere “ogni forma di dominio”. Una biografia umana e politica scritta in forma di ininterrotto dialogo (ma è anche un impegno e una chiamata alla solidarietà) dove la voce di Pinar Selek s’intreccia con quella di Guillaume Gamblin, editore della rivista della non-violenza “Silence”, che integra, condivide, sollecita.

Non c’è confusione tra i due testi, gli interventi di lui sono in corsivo, piuttosto c’è la condivisione di un progetto collettivo che si dipana in quel dialogare attorno al progetto di una vita. “Una vita da fiaba”, quella che Pinar voleva sin dalla prima adolescenza e bisogna dire che c’è riuscita, anche se le fate, come si sa, possono essere anche molto cattive. Soprattutto se sei una donna nata in Turchia, una nazione di cui Pinar è costretta ben presto a subire sul proprio corpo la violenza e la repressione. Troppo curiosa, troppo empatica, troppo libera per non accorgersi da subito delle contraddizioni che lacerano il tessuto politico sociale della sua meravigliosa città affacciata sul Bosforo: Istambul, Costantinopoli, Bisanzio una città che è quasi un mito, che è bellezza e vita. Pinar appartiene alla “razza” padrona, è turca, bianca, di buona famiglia d’intellettuali, anche loro piuttosto difettosi per il potere in quanto erano e sono di sinistra. Pinar però non appartiene a nessun credo, lei vuole la libertà, impresa assai ardua ovunque perché, è inevitabile (per tutti noi) respirare e nutrirsi della cultura e dei pregiudizi della geografia in cui si vive. Pinar cerca la libertà e la trova nel sottosuolo, tra i miserabili della sua città, i bambini di strada che, misteriosamente, l’accettano. Un incontro e un racconto magico, degno di Esmeralda e Victor Hugo. Pinar non è giudicante, è empatica, ha immaginazione, energia e capacità progettuale e crea “cose”. Ad esempio, un Atelier per artisti di strada a Taksim. Decide di studiare sociologia perché ha bisogno di un metodo per indagare la realtà e anche la verità di sé stessa. Si iscrive all’Università di Ankara dove si mette in ascolto di prostitute e transessuali e dove scopre un’altra cultura, minacciata ma tenace: quella kurda. Tornerà a Istambul nel 1994 per frequentare la Mimar Sinan University, studia Murray Bookchin e L’ecologia della libertà, la sociologia critica di Adorno e Foucault e il femminismo americano da Kate Millet a Judith Butler. Le sue indagini sociologiche mirano sempre le faglie del potere, là dove si esprime, senza infingimenti, tutta la sua violenza e crudeltà. E incontra “l’indicibile” su cui si fonda la nascita di quella nazione nuova che è la Turchia: il genocidio armeno e il neocolonialismo nei confronti del popolo curdo. Scopre quello che chiama “lo stato profondo”, quello zoccolo duro che sostiene lo stato turco nato sulla violenza e il militarismo ben prima che salisse al potere Recep Tayyip Erdogan, dai tempi di Kemal Ataturk. Due elementi radicati nei cuori e nei nervi dell’establishment turco che, ancora oggi, nega a colpi di condanne e carcere il genocidio degli armeni e le diverse etnie presenti sul suo territorio, prima fra tutte i kurdi. Decidi di realizzare un’inchiesta per “decifrare le cause sociali che hanno contribuito alla decisione di abbracciare le armi” e intervista, in anonimo, 13 militanti, uomini e donne, kurdi. Si reca nei villaggi, sulle montagne e persino in Germania e in Francia per cercare di “capire come nasce il movimento curdo e questo mi ha obbligato a prendere in considerazione la storia dello stato-nazione in Turchia” che inizia nel 1915 con il genocidio armeno ed è continuato con i reiterati massacri dei curdi. La ricerca pubblicata non piace al potere che, l’11 luglio 1998, l’arresta. Vogliono nomi e cognomi delle militanti e dei militanti kurdi intervistati. Il rifiuto le costerà due anni e mezzo di carcere e sadiche torture che le segnano il corpo e l’anima, per sempre. Non parla, ma non se ne fa un vanto, “è stato un caso”, dice. Rifiuta l’identità della vittima, “una dimensione emotiva che uccide il soggetto”. Non potendola piegare gli montano addosso “una biciletta”, un reato-montatura in gergo carcerario. Il 9 luglio, due giorni prima dell’arresto di Pinar, al mercato delle spezie di Istambul era esplosa una bombola del gas, 11 morti e decine di feriti. È una disgrazia, ma la magistratura decide che la colpevole è Pinar, un testimone ha confessato e l’accusa. Da quel momento inizia una storia ridicola se non ci fosse di mezzo la vita di una donna e la dignità della Magistratura e di una Nazione. Processata una prima volta sarà assolta con formula piena, il suo stesso accusatore ritratterà denunciando le torture subite. Ma il potere turco non sa di giustizia, conosce solo la vendetta. Arriverà a processare Pina Selek ben quattro volte e quattro volte sarà assolta. Pinar, nel frattempo, ha scelto, dolorosamente, la via dell’esilio prima in Germania e poi in Francia. Ed è nella sua residenza di Nizza che il 22 giugno 2022 viene a sapere da una Agenzia di stampa turca che l’ultima assoluzione è stata impugnata dalla Corte Suprema. Sei mesi di silenzio e il 6 gennaio 2023 la Corte suprema si degna di notificare agli avvocati di Pinar la decisione della Corte insieme a un mandato di arresto internazionale e la richiesta del suo immediato imprigionamento. Ottanta personalità europee si recano a Istambul come osservatori internazionali al processo. L’udienza sarà rimandata al 29 settembre 2023, dove si deciderà un ulteriore slittamento al 28 giugno 2024. Il Coordinamento europeo dei collettivi di solidarietà con Pinar Selek, in un comunicato, scriveva di rifiutare che Pinar “sia ancora una volta ostaggio di una politica iniqua che sfocia in una vera e propria farsa giudiziaria. Rifiutano diventi anche la vittima collaterale della politica di compiacimento dei Paesi europei nei confronti del regime autoritario e liberticida che imperversa in Turchia. Chiedono a tutti i parlamentari e leader politici che hanno testimoniato in questi mesi il loro sostegno a Pinar Selek che agiscano con vigore per garantirle sicurezza e protezione, appello diretto in particolare allo Stato francese che ha doveri specifici nei confronti di una sua compatriota. La nazionalità francese di Pinar Selek non è sufficiente per proteggerla. Forti del sostegno di numerose personalità della ricerca e del mondo intellettuale e culturale, i gruppi di solidarietà rinnovano la domanda in particolare al Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, per un suo chiaro ed incondizionato sostegno a Pinar Selek, e perché elabori una protesta ufficiale nei confronti del potere turco. Infine, i gruppi di solidarietà invitano gli amici, gli artisti, gli accademici, gli insegnanti e gli attivisti a raddoppiare i loro sforzi a sostegno di Pinar Selek, nonché ad estendere le loro mobilitazioni a sostegno di tutte le vittime del potere turco a ad organizzare delegazioni di osservazione all’udienza prevista ad Istanbul il 31 marzo 2023 al fine di esigere verità e giustizia”. E noi ci uniamo a loro nel denunciare l’offesa protratta a questa bellissima donna e alla ipocrisia di una magistratura prona al potere. Non dimenticheremo il 28 giugno 2024, il giorno della vergogna della giustizia turca.

Per tenersi al corrente sulle attualità relative alle lotte di Pinar Selek e al suo processo, visitare il sito www.pinarselek.org. Si può anche entrare in contatto con uno dei quindici collettivi di solidarietà locali in Francia e in Svizzera o creare un collettivo anche in Italia.

Di Pinar Selek voglio segnalare altri tre libri:  La maschera della verità, La casa sul Bosforo, e Lontano da casa,   pubblicati sempre da FANDANGO LIBIRI,

 Lettera di Pinar Selek dopo la lettura della Sentenza della Corte Suprema che la condanna all’ergastolo per un delitto da cui è già stata assolta QUATTRO volte 

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Care amiche e care amiche,

Ho appena letto la sentenza della Corte Suprema che mi condanna non solo al carcere a vita, ma anche ad una persecuzione senza fine.

 È una sentenza inaccettabile basata su falsi argomenti e prove falsificate di tutto punto.

 Questo processo va avanti da 25 anni, la metà della mia vita. So che ciò è un indicatore del male organizzato radicatosi in Turchia da molto più tempo.

 É il riflesso della continuità del regime autoritario in Turchia e delle sue configurazioni e disposizioni repressive.

 La sentenza iniqua fondata su documenti falsificati è solo un tassello degli oscuri dispositivi messi in atto in vista delle elezioni.

 Pochi giorni prima del recente assassinio di tre curdi a Parigi, così scrivevo su Mediapart: “L’anno 2023 è prevedibile. In occasione delle elezioni, assisteremo a nuove esplosioni o attacchi organizzati “dagli invisibili”. Le inchieste collegate non porteranno mai a niente, come nel caso del complotto di cui sono vittima”.  Scrivevo anche come il travagliato governo turco scateni la violenza attraverso una strategia della tensione e del caos che trova radici nell’oscuro repertorio politico del Paese.

 Io sono un piccolo “punto” nel più grande “quadro” della resistenza, ciò che si paga con un prezzo elevato.

 Fino ad oggi ho resistito per non sottomettermi al dominio e far fronte alla repressione, ma anche per continuare a creare e a lavorare sulle mie ricerche, per riflettere profondamente ed in modo strutturato su come agire e vivere al modo di una “formica fantasiosa”.

 Ve lo prometto, non mi arrenderò.

 Vi abbraccio, 

Pinar

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Per approfondire: https://it.gariwo.net/giusti/coraggio-civile/pinar-selek-15747.html

1 commento

  1. […] [LE RECENSIONI DI FONTI di PACE] “L’Insolente”, biografia di Pinar Selek C'è un grande disordine sotto il cielo Tag articolo: #GUERRA#KURDISTAN#Ocalan#PACIFISMO […]

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