Per ascoltare l’audio di oggi, 07 luglio 2024:

Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo

(testata giornalistica online fondata da Farid Adly.

Direttore responsabile Federico Pedrocchi)

Rassegna anno V/n. 182 (1433)

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Le notizie:

Genocidio a Gaza

Se ce la fate, guardate questo video di un bombardamento israeliano del primo luglio.

I generali israeliani hanno preso di mira le ex scuole dell’ONU trasformate in rifugi per sfollati. Sono state compiute 3 stragi nella sola giornata di ieri, la più violenta a Jebalia, nel nord della Striscia. Negli ospedali sono arrivati 29 corpi di vittime innocenti tutte civili, particolarmente bambini. I feriti sono stati 100. Molti corpi si trovano tuttora sotto le macerie.

Il numero totale delle vittime è salito a 38.098 uccisi e 87.705 feriti. Ai quali vanno aggiunte le vittime di stanotte.

Il nostro commento quotidiano fisso: Ci sono ancora coloro che obiettano che non si tratti di genocidio, basandosi su congetture storiche e non guardando la realtà delle cifre e delle intenzioni dichiarate dai politici e generali israeliani. Chiudono gli occhi e dicono: “Dire che Israele commette genocidio è una bestemmia”.

Pronunciare una frase simile è la vera bestemmia nei confronti della memoria dei sei milioni di ebrei assassinati dal nazismo tedesco.

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Situazione umanitaria

“Ospedali senza carburanti e senza elettricità, sfollamenti continui e bombardamenti sui nuovi luoghi di rifugio, una perenne ricerca quotidiana di aver un piatto di riso o di lenticchie da mangiare e qualche bottiglia d’acqua”, così descrive il dott. Amjad Shawa la situazione umanitaria degli oltre due milioni di sfollati a Gaza. Il presidente delle organizzazioni della società civile palestinesi sostiene, in un’intervista ad una radio egiziana, che “il piano del governo israeliano e del suo esercito è quello di rendere impossibile la vita alla gente, in modo che pensi soltanto alla sopravvivenza, non abbia il tempo di pensare all’istruzione dei ragazzi o al lavoro. I palestinesi di Gaza, nel piano degli strateghi israeliani, devono perdere l’identità di una società organizzata e trasformarsi in individui che pensano soltanto alla soddisfazione dei bisogni primari: mangiare, bere e ripararsi dal caldo o dal freddo. La nostra resistenza si esplicita anche nel contrastare questo disegno, esprimendo solidarietà e coesione tra le persone. Non permetteremo mai ad Israele di annientarci, né fisicamente, né socialmente”.

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Giornalisti nel mirino

Altri 4 giornalisti palestinesi uccisi ieri a Gaza. Sono i coniugi Amjad Jahjouh e Wafaa Abu-Dhabaan, uccisi con il loro bambino a casa loro. Gli altri due sono Saady Mdouakh e Rizq Abu-Shakian. Le coordinate delle loro case erano a conoscenza dell’esercito israeliano e i bombardamenti che hanno subito erano deliberati, per uccidere le voci della verità. Il numero dei giornalisti uccisi a Gaza dall’inizio dell’aggressione è arrivato a 160.

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Cisgiordania e Gerusalemme est

Azioni coordinate tra esercito di occupazione e coloni per colpire violentemente la popolazione palestinese della Cisgiordania, che si accompagnano alle provocazioni in materia religiosa a Gerusalemme est, con i divieti ai fedeli musulmani di raggiungere le spianate delle moschee e permettere ai coloni estremisti di svolgere i loro riti profanatori nei luoghi sacri islamici.

Ieri, l’esercito ha ucciso un ragazzo a Beit ‘Our, nei pressi di Ramallah. Altri due sono rimasti gravemente feriti. Nel rastrellamento del campo di Balata, a Nablus, 9 palestinesi sono rimasti feriti.

I coloni invece hanno sferrato un attacco contro il villaggio di Bureen, a sud di Nablus, con l’obiettivo di cacciarne la popolazione ed impossessarci dei terreni agricoli, “che dio ci ha donato”, dicono con le asce in mano e il mitra a tracolla.

Nel capodanno musulmano, le truppe di occupazione hanno vietato ai fedeli di entrare nella moschea di Al-Aqsa, per permettere ai un gruppetto di coloni ebrei di svolgere riti nel luogo di culto islamico.

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Prigionieri

Una testimonianza di un medico israeliano dal campo di concentramento di Sde Tieman, la Abu Ghraib di Netanyahu

15 prigionieri palestinesi sono stati liberati ieri dal carcere del deserto del Negev e mentre stavano facendo ritorno a piedi a Gaza, l’artiglieria dell’esercito li ha centrati con diversi lanci di obici. Uno dei superstiti ha raccontato che “appena siamo arrivati alla strada asfaltata ad est di Rafah, l’artiglieria ci ha preso di mira. Sono rimasti uccisi sette e gli altri feriti. È stato un attacco deliberato”. Il gruppo dei detenuti rilasciati erano stati arrestati perché autisti e lavoratori di facchinaggio degli aiuti umanitari, ingaggiati dall’UNRWA. I superstiti hanno raccontato di aver subito torture e trattamenti umilianti da parte dei soldati. “Ci hanno picchiato duramente, ci hanno denudato e buttato per terra e si sono messi a camminare sui nostri corpi con i loro scarponi, pestando i genitali. Diversi di noi hanno subito rotture delle ossa agli arti e sono stati lasciati senza cure. Ci sputavano in faccia e facevano la pipì sui nostri corpi distesi per terra. Dovevamo mangiare con le mani legate dietro la schiena, dalle ciotole direttamente con la bocca, come mangiano i cani. Per aumentare l’umiliazione, prima di metterci la ciotola ci costringevano ad abbaiare. Chi si rifiuta, viene escluso dal pasto”. Non hanno mai ricevuto un’imputazione e non li ha mai ascoltato un giudice militare. Solo interrogatori e torture. Sono stati rilasciati e poi bombardati.   

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Trattative

Forti pressioni statunitensi su Netanyahu e Gallant per accettare l’accordo, dopo che Hamas ha rinunciato alla dichiarazione di fine conflitto prima dell’avvio dello scambio prigionieri, ma di rinviare la trattativa su quel punto alla terza settimana della prima fase e prima dell’avvio della seconda. Il ministro della guerra di Washington, Austin, ha telefonato a Gallant per spronarlo ad andare avanti su questo percorso diplomatico, assicurando il totale sostegno degli USA ad Israele.  

Secondo media israeliani, la risposta di Hamas riportata dalla delegazione israeliana a Doha è chiara e toglie a Netanyahu ogni copertura. Hamas ha cancellato la sua richiesta preliminare della fine del conflitto ed ha accettato di aprire una trattativa su questo punto a metà della prima fase. Sempre secondo quanto scritto dai media di Tel Aviv, nella bozza non viene esplicitamente citata la fine del conflitto, ma la frase fumosa di “attenuazione degli scontri per una calma sostenibile”, una frase suscettibile di tutte le interpretazioni.

Secondo fonti della sicurezza del Cairo, domani lunedì si aprirà una nuova sessione di trattative indirette. “C’è ancora molto da discutere sulle modalità di esecuzione dell’accordo. Non ultimo il luogo della consegna degli ostaggi, visto che Rafah è stata occupata e l’esercito israeliano controlla tutti i valichi di frontiera”.

La stampa del Cairo scrive che Netanyahu ha ordinato due mesi fa l’occupazione di Rafah e il controllo israeliano sul valico e sulla fascia di sicurezza di Salahuddine (passaggio di California nella denominazione israeliana) proprio con l’intenzione di sabotare ogni accordo rendendo lo scambio di prigionieri impossibile.

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Israele

Gantz e Eizenkot hanno esortato Netanyahu ad andare avanti nell’accordo per lo scambio di prigionieri, malgrado il “doloroso prezzo da pagare”. I due ex membri del Consiglio di guerra hanno garantito l’appoggio parlamentare esterno al governo, in caso di proseguimento su questa strada per riportare gli ostaggi vivi a casa. Il premier non rilascia dichiarazioni sul tema e lascia il compito ai suoi uffici di segreteria. Un canale tv israeliano sostiene che l’accordo non sarà firmato prima del 23 luglio, giorno del discorso di Netanyahu al Congresso statunitense.

Ieri, si sono svolte manifestazioni di protesta davanti alle abitazioni di 18 ministri del governo Netanyahu, per chiedere loro di concludere l’accordo per lo scambio di prigionieri al più presto.

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Yemen

Scambio liste di nomi dei prigionieri tra i governativi e le milizie Houthi, per l’avvio dello scambio. È l’importante passo raggiunto nelle trattative tra due delegazioni riunite ad Oman con la mediazione dell’ONU. Le due delegazioni si incontreranno tra due mesi, per gli ultimi passi dell’accordo. Tra le questioni che si stanno avviando a soluzione vi è la vicenda del capo del partito Islah, Mohammed Qahtan, detenuto nelle mani degli Houthi dal 2015, senza che mai i suoi familiari potessero avere informazioni sulla sua sorte. Sarà liberato in cambio del rilascio di 50 prigionieri di guerra houthi. In passato si sono svolte trattative tra le due parti a Stoccolma che ha portato al primo scambio di prigionieri nel 2018. Nell’aprile 2023, dopo trattative tenute in Svizzera con la mediazione della Croce rossa internazionale c’è stato il più grande scambio di prigionieri tra le due parti coinvolgendo 900 persone.

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Tunisia

Il capo del partito Popolare repubblicano, Lotfi Al-Marayhi, è stato arrestato pochi giorni dopo l’annuncio delle sue intenzioni di candidarsi alle presidenziali del prossimo 6 ottobre. Le accuse pretestuose sono quelle di possedere conti correnti bancari all’estero, senza l’autorizzazione della Banca centrale tunisina. Quella dell’arresto degli avversari dell’attuale presidente in carica è la tecnica per garantirgli una rielezione sicura. Una delle personalità politiche più in vista, la leader del partito desturiano, Abeer Mussa, è in carcere da un anno con l’accusa di disturbo della quiete pubblica, per aver tentato di entrare nella sede del parlamento. Mussa era una deputata dell’ex parlamento sciolto dal presidente Saied. Altri tre politici sono stati incarcerati dalla magistratura deviata, appena hanno dichiarato le loro intenzioni di candidarsi. Siaed non ha ancora annunciato la sua candidatura per un secondo mandato, ma sicuramente lo farà quando il campo sarà libero da avversari di spessore.  Ufficialmente, le candidature saranno accettate a partire dal 29 luglio e fino al 6 agosto. Le domande vanno presentate personalmente dai candidati e quindi, un detenuto anche se non ancora condannato non potrà presentarsi. Soltanto una mente diabolica può ricorrere a mezzi del genere, per eliminare gli avversari prima ancora di scendere in campo.

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Siria

È arrivato ad Idlib il corpo del primo mercenario siriano ucciso nei combattimenti in Niger. La presenza militare turca ha utilizzato i miliziani reclutati in Siria per svolgere i compiti più duri, quelli di contrastare gli attacchi dei jihadisti di Al-Qaeda e dell’Isis. Come avvenuto in Libia e in Azerbigian, migliaia di miliziani sono stati reclutati dall’esercito turco con la collaborazione dei signori della guerra siriani per poterli impiegare nei programmi di espansione del neo sultano in Africa. Con la promessa di una paga che arriva fino a 2000 dollari al mese e di essere impiegati nella custodia delle sedi diplomatiche e di società turche, gli emissari turchi hanno un compito facile ad assoldare migliaia di povera gente.

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Iran

Il nuovo presidente iraniano, il riformista Pezeshkian, ha inaugurato la sua era con un discorso molto chiaro, ma diplomatico, sul programma e sulle relazioni con le altre istituzioni del sistema. Il luogo prescelto per il discorso è stato il mausoleo di Khomeini, il fondatore della Repubblica Islamica. Nel suo discorso ha citato più di una volta il nome della guida spirituale Khaminei, definendolo “saggio e determinato sulla retta via”. Era vestito con abiti semplici, per dire alla gente “sono uno di voi”. Si è fatto accompagnare dal figlio di Khomeini, uno degli esponenti della corrente riformista, ma che gode del massimo rispetto negli ambienti ultraconservatori. Ha ribadito che il suo programma prevede di affrontare prima di tutto la crisi economica, ma che non dimenticherà i problemi delle libertà individuali, dal vestiario femminile all’accesso ad Internet. Un percorso non facile per Pezeshkian, quello della coabitazione con il parlamento controllato da una maggioranza di conservatori, a partire dalla stessa scelta dei ministri, che dovranno per le regole costituzionali ottenere la fiducia del parlamento singolarmente.

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Sahara Occidentale

Il giovane saharawi Yussef Al-Mahmoudi ha ottenuto dalle autorità spagnole un permesso di ingresso provvisorio per motivi umanitari, dopo 14 giorni di reclusione in commissariato nell’aeroporto di Bilbao. La sua richiesta di asilo politico era stata respinta e il ministero dell’Interno di Madrid aveva emesso un ordine di espulsione verso il Marocco. Al-Mahmoudi è entrato immediatamente in sciopero della fame ed una campagna di solidarietà è stata avviata da diverse organizzazioni spagnole per i diritti umani, per ottenere l’accoglimento della sua domanda a causa del pericolo di oppressione in Marocco in caso di sua espulsione. La stessa ministra spagnola della gioventù e dell’infanzia, Sira Rego, ha chiesto al ministro dell’Interno di rivedere le sue decisioni in merito all’improprio rimpatrio. Ben due volte l’espulsione è stata vanificata per il rifiuto dei piloti degli aerei a partire con a bordo una persona espulsa coercitivamente. La lotta e la solidarietà hanno premiato Al-Mahmoudi, che ha lasciato ieri l’aeroporto e lunedì avrà la prima udienza con il giudice, per esaminare il suo ricorso contro il respingimento della domanda di asilo politico. (da QUI).

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APPROFONDIMENTI:

[Echi della stampa araba] n°17: Il futuro incerto dei drusi di Israele

a cura diMargaret Petrarca (Leggi tutto).

[Giornalismo] La figuraccia dei giornaloni scorta mediatica del genocidio a Gaza. di Farid Adly Qui

[Finestra sulle Rive Arabe] “Il mare nella letteratura araba contemporanea”, di Antonino D’esposito. QUI

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1 commento

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